La Trasfigurazione
del Signore. Iconografia e innografia nella tradizione bizantina.
Oggi
la natura umana riacquista la sua antica bellezza…
La liturgia bizantina, in questa
festa, collega strettamente il mistero della trasfigurazione di Cristo alla sua
passione: nella salita sul Tabor per primo e in quella sul Calvario dopo; anche
per la presenza dei discepoli meravigliata nell’ora della trasfigurazione,
smarrita poi nell’ora della passione: “Prima che tu salissi sulla croce,
Signore, un monte ha raffigurato il cielo, e una nube lo sovrastava come tenda.
Mentre tu ti trasfiguravi e ricevevi la testimonianza del Padre, erano con te
Pietro, Giacomo e Giovanni, perché, dovendo essere con te anche nell’ora del
tradimento, grazie alla contemplazione delle tue meraviglie non temessero di
fronte ai tuoi patimenti… Prima della tua croce, o Signore, prendendo con te i
discepoli su un alto monte, davanti a loro ti sei trasfigurato, illuminandoli
con bagliori di potenza, volendo mostrare loro lo splendore della risurrezione…”.
La trasfigurazione quindi vuol preparare e in qualche modo rafforzare i
discepoli di fronte alla passione di Cristo, e allo stesso tempo è
prefigurazione della sua risurrezione; uno dei tropari del vespro accosta
ambedue i fatti salvifici, mettendo in parallelo la presenza della luce
abbagliante, gli angeli, il tremore della terra di fronte al Signore
trasfigurato e quindi risorto: “Prefigurando la tua risurrezione, o Cristo Dio,
prendesti con te i tuoi tre discepoli, Pietro, Giacomo e Giovanni per salire
sul Tabor. E mentre tu ti trasfiguravi, o Salvatore, il monte Tabor si
ricopriva di luce. I tuoi discepoli, o Verbo, si gettarono a terra, non
sopportando la vista della forma che non è dato contemplare. Gli angeli
prestavano il loro servizio con timore e tremore; fremettero i cieli e la
terra tremò, perché sulla terra vedevano il Signore della gloria”.
La presenza di Mosè ed Elia nella
trasfigurazione la collegano anche alla teofania divina al monte Sinai, e allo
stesso tempo essi diventano testimoni della sua divino umanità: “Colui che un
tempo, mediante simboli, aveva parlato con Mosè sul monte Sinai, dicendo: Io
sono ‘Colui che È’, trasfiguratosi oggi sul monte Tabor alla presenza dei
discepoli, ha mostrato come in lui la natura umana riacquistasse la bellezza
archetipa dell’immagine. Prendendo a testimoni di una tale grazia Mosè ed
Elia, li rendeva partecipi della sua gioia, mentre essi preannunciavano il
suo esodo tramite la croce, e la salvifica risurrezione”. Quindi troviamo tre testi veterotestamentari che sono presenti come filo
conduttore dell'esegesi della festa, collegati alla figura di Mose il primo: “Colui
che un tempo aveva parlato con Mosè sul monte Sinai… trasfiguratosi oggi sul
monte Tabor…”; ad Elia il secondo, nella sua
ascensione in 2Re 2: “Mosè il veggente ed Elia, l’auriga di fuoco, che senza
bruciare ha corso i cieli, vedendoti nella nube al momento della tua
trasfigurazione, hanno attestato che tu sei, o Cristo, l’autore della Legge e
dei profeti e colui che li porta a compimento…”. A Davide il terzo nel testo
del salmo 88,12-13: “Prevedendo in Spirito la
tua venuta tra gli uomini, nella carne, o Figlio Unigenito, già da lungi Davide,
padre di Dio, convocava la creazione alla festa, esclamando profeticamente: Il
Tabor e l’Ermon nel tuo nome esulteranno...”. La
bellezza e la gloria di Cristo trasfigurato manifestano anche la bellezza e la
gloria della natura umana che viene rinnovata, redenta dal Signore della
gloria: “… oggi il Signore sul monte Tabor alla presenza dei discepoli,
ha mostrato come in lui la natura umana riacquistasse la bellezza archetipa
dell’immagine… Salito infatti su questo monte, o Salvatore, insieme ai tuoi
discepoli, trasfigurandoti hai reso di nuovo radiosa la natura un tempo oscuratasi
in Adamo, facendola passare alla gloria e allo splendore della tua divinità…”.
Il cànone del
mattutino della festa, opera di san Giovanni Damasceno (VII-VIII secoli) con
delle immagini bellissime avvicina ambedue le teofanie, quella
veterotestamentaria sul Sinai e quella neotestamentaria sul Tabor; da notare
come la roccia che sul Sinai protegge Mosè dal morire alla visione divina,
nella trasfigurazione lo protegge la stessa umanità di Cristo: “Mosè,
sul mare, vedendo un tempo profeticamente nella nube e nella colonna di fuoco
la gloria del Signore, esclamava: Cantiamo al nostro Redentore e Dio… Protetto
dal corpo deificato come un tempo dalla roccia, il veggente Mosè, contemplando
l’invisibile, esclamava: Cantiamo al nostro Redentore e Dio… La gloria che un
tempo adombrava la tenda e parlava con Mosè tuo servo, era figura della tua trasfigurazione…
Tu che sei il Dio Verbo, sei divenuto pienamente uomo, congiungendo nella tua
persona l’umanità alla pienezza della divinità…”.
Il collegamento tra la trasfigurazione di Cristo e la sua
passione, e la presenza di Mosè e di Elia porta infine l’innografo a riprendere
la centralità del mistero della croce di Cristo già prefigurata nei fatti
veterotestamentari: “Tracciando una croce, Mosè, col bastone
verticale, divise il Mar Rosso… poi lo riunì
su se stesso con frastuono… una verga è assunta come
figura del mistero perché, con la sua fioritura per la Chiesa un tempo sterile, è fiorito ora l’albero della
croce… o albero beatissimo, su cui è stato steso Cristo, Re
e Signore! Per te è caduto colui che con un albero aveva ingannato, è stato adescato da Dio che nella carne in te è
stato confitto, e che dona la pace alle anime nostre”.
Pontificio Collegio Greco
Roma
La
Trasfigurazione del Signore nella tradizione bizantina
Oggi la natura umana riacquista
la sua antica bellezza
di Manuel Nin
La festa della Trasfigurazione è una delle dodici Grandi feste del
calendario bizantino, con una prefesta il 5 agosto e un’ottava che si conclude
il 13. Già a partire dal bellissimo mosaico del vi secolo nel monastero di
Santa Caterina del Sinai, l’iconografia riprende la narrazione evangelica con
il Signore al centro, avvolto di luce, Mosè ed Elia ai lati e sotto i tre
discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni che non osano quasi guardare la luce abbagliante.
In un
tropario l’ufficiatura fa quasi una parafrasi dell’icona, come se l’innografo
la leggesse: "Il mistero nascosto dall’eternità è stato negli ultimi tempi
manifestato a Pietro, Giovanni e Giacomo dalla tua tremenda trasfigurazione.
Essi, non sopportando il fulgore del tuo volto e lo splendore delle tue vesti,
oppressi stavano curvi col volto a terra; nella loro estasi stupivano vedendo
Mosè ed Elia che parlavano con te di quanto ti doveva accadere. Una voce da
parte del Padre dava testimonianza, dicendo: Questi è il mio Figlio diletto,
nel quale mi sono compiaciuto: ascoltatelo, egli donerà al mondo la grande
misericordia".
La liturgia collega strettamente il mistero della trasfigurazione
di Cristo alla sua passione: la salita sul Tabor e quella sul Calvario, dove la
presenza dei discepoli meravigliata nell’ora della trasfigurazione viene
smarrita in quella della passione: "Prima che tu salissi sulla croce,
Signore, un monte ha raffigurato il cielo, e una nube lo sovrastava come tenda.
Mentre tu ti trasfiguravi e ricevevi la testimonianza del Padre, erano con te
Pietro, Giacomo e Giovanni, perché, dovendo essere con te anche nell’ora del
tradimento, grazie alla contemplazione delle tue meraviglie non temessero di
fronte ai tuoi patimenti. Prima della tua croce, o Signore, prendendo con te i
discepoli su un alto monte, davanti a loro ti sei trasfigurato, illuminandoli
con bagliori di potenza, volendo mostrare loro lo splendore della
risurrezione".
Uno dei tropari del vespro accosta passione e risurrezione,
mettendo in parallelo la presenza della luce abbagliante, gli angeli, il
tremore della terra di fronte al Signore trasfigurato e risorto:
"Prefigurando la tua risurrezione, o Cristo Dio, prendesti con te i tuoi
tre discepoli, Pietro, Giacomo e Giovanni per salire sul Tabor. E mentre tu ti
trasfiguravi, o Salvatore, il monte Tabor si ricopriva di luce. I tuoi
discepoli, o Verbo, si gettarono a terra, non sopportando la vista della forma
che non è dato contemplare. Gli angeli prestavano il loro servizio con timore e
tremore; fremettero i cieli e la terra tremò, perché sulla terra vedevano il
Signore della gloria".
La presenza di Mosè ed Elia esprime il collegamento con la
teofania sul Sinai: "Colui che un tempo, mediante simboli, aveva parlato
con Mosè sul monte Sinai, dicendo: Io sono Colui che è, trasfiguratosi oggi sul
monte Tabor alla presenza dei discepoli, ha mostrato come in lui la natura
umana riacquistasse la bellezza archetipa dell’immagine. Prendendo a testimoni
di una tale grazia Mosè ed Elia, li rendeva partecipi della sua gioia, mentre
essi preannunciavano il suo esodo tramite la croce e la salvifica
risurrezione".
Tre testi veterotestamentari sono presenti come filo conduttore.
Il primo è collegato a Mosè: "Colui che un tempo aveva parlato con Mosè
sul monte Sinai trasfiguratosi oggi sul monte Tabor". Il secondo (2 Re, 2)
a Elia: "Mosè il veggente ed Elia, l’auriga di fuoco, che senza bruciare
ha corso i cieli, vedendoti nella nube al momento della tua trasfigurazione,
hanno attestato che tu sei, o Cristo, l’autore della Legge e dei Profeti e
colui che li porta a compimento". Il terzo (Salmi, 88, 12-13) a Davide:
"Prevedendo in Spirito la tua venuta tra gli uomini, nella carne, o Figlio
Unigenito, già da lungi Davide convocava la creazione alla festa, esclamando
profeticamente: Il Tabor e l’Ermon nel tuo nome esulteranno".
La bellezza e la gloria di Cristo trasfigurato manifestano anche
la bellezza e la gloria della natura umana rinnovata: "Oggi il Signore sul
monte Tabor alla presenza dei discepoli ha mostrato come in lui la natura umana
riacquistasse la bellezza archetipa dell’immagine. Salito infatti su questo
monte, o Salvatore, insieme ai tuoi discepoli, trasfigurandoti hai reso di
nuovo radiosa la natura un tempo oscuratasi in Adamo, facendola passare alla
gloria e allo splendore della tua divinità". Infine, il canone del
mattutino, opera di san Giovanni Damasceno, avvicina la teofania sul Sinai a
quella sul Tabor: "La gloria che un tempo adombrava la tenda e parlava con
Mosè tuo servo era figura della tua trasfigurazione. Tu che sei il Dio Verbo,
sei divenuto pienamente uomo, congiungendo nella tua persona l’umanità alla
pienezza della divinità".
P. Manuel Nin
Pontificio Collegio Greco
Roma
(©L'Osservatore
Romano 5 agosto 2012)