martes, 30 de abril de 2013


…nuovo bambino, il Dio prima dei secoli…

Le tradizioni liturgiche orientali molto spesso con delle forme letterarie belle e allo stesso tempo contrastanti, ci propongono la contemplazione del mistero della nostra fede. Romano il Melode, teologo-poeta bizantino del VI secolo, nel suo primo kontakion (poema ad uso liturgico), a modo di ritornello ripete il testo: …nuovo bambino, il Dio prima dei secoli…, che riassume il mistero celebrato; il Dio “eterno”, esistente prima dei secoli, diventa “nuovo” nel bambino neonato. La tradizione bizantina nella celebrazione della “Nascita secondo la carne del Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo”, come viene chiamata nei testi liturgici, accosta sia nell’iconografia che nell’eucologia, la celebrazione del Natale a quella della Pasqua. L’icona del Natale mostrandoci il bambino fasciato messo in un sepolcro vuol prefigurare già l’altro sepolcro in cui il Signore, di nuovo fasciato, verrà messo il Venerdì Santo per rissuscitarne glorioso all’alba del giorno di Pasqua. I testi della liturgia, con delle immagini molto profonde e vivaci ci propongono tutto il mistero della nostra salvezza.

Inoltre, nelle settimane precedenti il Natale, senza che ci sia un vero e proprio periodo corrispondente all’Avvento delle tradizioni latine, la tradizione bizantina, attraverso dei bellissimi tropari, ci ha fatto pregustare tutto il mistero dell=Incarnazione: l=attesa fiduciosa, la povertà della grotta –prefigurazione della povertà dell=umanità che accoglie il Verbo di Dio; ed ancora tutta la serie di figure e personaggi che si affacciano nella vita liturgica di questi giorni: i profeti Naum, Abacuc, Sofonia, Ageo, Daniele ed i Tre Fanciulli; tutte le volte che quasi come una personificazione Betlemme viene collegata con l=Eden; Isaia che si rallegra, Maria, la Madre di Dio presentata come “Agnella” cioè colei che porta in seno Cristo l=Agnello di Dio; infine le due domeniche che precedono il Natale, con la celebrazione dei “Progenitori di Dio”, da Adamo fino a Giuseppe, cioè tutta la lunga serie di figure che hanno atteso il Cristo e che ci fanno presente che anche noi siamo parte di una storia, di una umanità che l’accoglie, una storia ed una umanità che l=accoglie nella veglia fiduciosa, ma anche nel buio, nel dubbio, nel peccato.

Tra i molti testi liturgici che troviamo nella liturgia e nella letteratura bizantina sul Natale, vorrei soffermarmi nel secondo dei kontakia  di Romano il Melode. Si tratta di un testo di 18 strofe in cui l’autore sviluppa come argomento il pellegrinaggio, la visita di Adamo ed Eva alla grotta del Neonato ed il dialogo di costoro con Maria. Nelle due prime strofe del testo, Maria canticchia all’orecchio del bambino, canto che sveglia Eva dal sonno eterno ed essa persuade Adamo di recarsi nella grotta per chiarire cos=è quel canto. Nel primo gruppo di strofe, Adamo ed Eva invocano l=intercessione della Madre di Dio per la loro sorte, Maria li rinnova nella fiducia e presso il suo Figlio sostiene la causa dei Progenitori. Nel secondo gruppo di strofe Gesù manifesta a Maria il suo grande amore per gli uomini fino alla morte nella croce. Maria esorta Adamo ed Eva pazienza fiduciosa.

Vorrei unicamente soffermarmi su quattro delle strofe, cioè 4 e 7, il dialogo tra Eva ed Adamo svegliati dal loro sonno; quindi 16-17 dove Gesù svela a Maria l=unico motivo dell=agire -e dell=agire in un certo modo- da parte di Dio: l=amore verso l=uomo.

4. O Adamo, al sentire il grido della rondine che annuncia l’aurora, scuoti il tuo sonno di morte ed alzati. Ascoltami, sono la tua sposa: io, che sono stata la prima a provocare la caduta dei mortali, oggi mi rialzo. Considera i prodigi, mira l’ignara di nozze che guarisce la nostra piaga col frutto del suo parto. Il serpente una volta mi sorprese e si rallegrò, ma al vedere ora la mia discendenza, fuggirà strisciando. Esso aveva alzato il capo contro di me, ma adesso adula servilmente e senza voglia di schernire, per il timore che gli incute la Piena di grazia.

7. Riconosco la primavera, o donna, e aspiro le delizie da cui decademmo allora. Scorgo un nuovo, diverso paradiso: la Vergine che porta in grembo l’albero di vita, lo stesso albero sacro che custodivano i cherubini per impedirci di toccarlo. Ebbene, guardando crescere questo intoccabile albero, ho avvertito, o mia sposa, il soffio vivificante che fa di me, polvere e fango immoti, un essere animato. Adesso, rinvigorito dal suo profumo, voglio andare dove cresce il frutto della nostra vita, dalla piena di grazia.

Ascoltami, sono la tua sposa: io, che sono stata la prima a provocare la caduta dei mortali, oggi mi rialzo. È la voce di Eva che parla ad Adamo con una buona novella: oggi mi rialzo. La nascita verginale di Cristo diventa guarigione, salvezza per il genere umano ferito dal peccato: l’ignara di nozze che guarisce la nostra piaga col frutto del suo parto.

Riconosco la primavera, o donna, e aspiro le delizie da cui decademmo allora. Il risveglio di Adamo è una prefigurazione, in quanto costui lo colloca nella primavera, cioè nel contesto pasquale in cui sarà definitivamente riportato in paradiso. Esso è anche cambiato, rinnovato: Scorgo un nuovo, diverso paradiso… che non è altro che il grembo della Vergine che porta il nuovo albero della vita.

16. *Sono sopraffatto dell=amore che sento per l=uomo -risponde il Creatore. Io, o Ancella e Madre mia, non ti rattristerò. Ti farò conoscere tutto ciò che sto per fare ed avrò rispetto per la tua anima, o Maria. Il bambino che ora porti tra le braccia, lo vedrai fra non molto con le mani inchiodate, perché ama la tua stirpe. Colui che tu nutri, altri l=abbevereranno di fiele; colui che tu chiami vita, dovrai tu vederlo appeso alla croce, e di lui piangerai la morte. Ma tu mi stringerai in un abbraccio allorché sarò risuscitato, o Piena di grazia+.

17. Tutto questo sopporterò volentieri, e causa di tutto questo è l=amore che ho sempre sentito e sento tuttora per gli uomini, amore di un Dio che non chiede altro che di poter salvare+. A tale discorso, Maria gridò in un gemito: *O mio grappolo, che gli empi non ti frantumino! Quando sarai cresciuto, o Figlio mio, che io non ti veda immolato!+ Ma egli così aggiunse: *Non piangere Madre, su ciò che non sai: se tutto questo non sarà compiuto, tutti coloro, a favore dei quali mi implori, periranno, o Piena di grazia+.


Perché ama la tua stirpe... un Dio che non chiede altro che di poter salvare... Questa è la realtà, l=unica realtà che celebriamo in questi giorni, che celebriamo nella nostra fede cristiana: l=amore di Dio per gli uomini manifestatosi pienamente in Gesù Cristo. E la celebriamo, la viviamo questa realtà in tutta la nostra vita come cristiani. Come cristiani nel condividere e forse anche nel contrastare la nostra fede con un mondo -almeno quello che ci circonda in modo più immediato- segnato fortemente dall=individualismo, dall=oblio dell=altro, dall=ignoranza degli altri; una fede che dovrà predicare un Dio che è dono gratuito, che perdona, che ama, e perché ama si sacrifica per gli altri, che non chiede altro che poter salvare come ci indicava Romano. Vedendo le folle per le nostre città, dobbiamo chiederci cosa cerca questa umanità? Una cosa è chiara, è a questa umanità che dobbiamo predicare, che Dio ama la sua stirpe, e che non chiede altro che di poter salvare. Lui …nuovo bambino, il Dio prima dei secoli…

Nell’ultima strofa del kontakion è Maria che esorta Adamo ed Eva: “Abbiate ancora pazienza: avete udito ciò che egli si prepara a soffrire per voi, voi che mi acclamate Piena di grazia”.


Adamo ed Eva
alla grotta del nuovo bambino
di Manuel Nin

Le tradizioni liturgiche orientali, molto spesso con forme letterarie belle e nello stesso tempo contrastanti, ci propongono la contemplazione del mistero della nostra fede. Romano il Melode, teologo e poeta bizantino del vi secolo, nel suo primo kontàkion (poema a uso liturgico) come ritornello ripete le parole "nuovo bambino, il Dio prima dei secoli" che riassumono il mistero celebrato:  il Dio eterno, esistente prima dei secoli, diventa nuovo nel bambino neonato. La tradizione bizantina, celebrando la "nascita secondo la carne del Dio e salvatore nostro Gesù Cristo" accosta, sia nell'iconografia che nell'eucologia, la celebrazione del Natale a quella della Pasqua. L'icona del Natale nel bambino fasciato messo in un sepolcro vuole prefigurare già il sepolcro dove il Signore, di nuovo fasciato, verrà messo il Venerdì Santo per risuscitarne glorioso all'alba di Pasqua. I testi della liturgia con immagini molto profonde e vivaci ci propongono così tutto il mistero della nostra salvezza.


Nelle settimane precedenti il Natale, senza un vero e proprio periodo corrispondente all'Avvento delle tradizioni latine, la liturgia bizantina in bellissimi tropari ci ha fatto pregustare tutto il mistero dell'Incarnazione:  l'attesa fiduciosa e la povertà della grotta, prefigurazione della miseria dell'umanità che accoglie il Verbo di Dio; e ancora, tutta la serie di figure e personaggi che si affacciano nella vita liturgica di questi giorni:  i profeti Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Daniele e i Tre Fanciulli; Betlemme, quasi personificata e collegata con l'Eden; Isaia che si rallegra, Maria, la Madre di Dio presentata come "agnella", cioè colei che porta in seno Cristo, l'Agnello di Dio; infine, nelle due domeniche che precedono il Natale, i Progenitori di Dio da Adamo fino a Giuseppe, cioè la lunga serie di figure che hanno atteso il Cristo e che ci ricordano il fatto che anche noi siamo parte di una storia e di una umanità che l'accolgono nella veglia fiduciosa, ma anche nel buio, nel dubbio e nel peccato.
Nel secondo dei kontàkia Romano il Melode narra la visita di Adamo ed Eva alla grotta del neonato. Il canto di Maria all'orecchio del bambino sveglia Eva dal sonno eterno ed essa persuade Adamo di recarsi nella grotta per capire cosa sia quel canto. Nel dialogo tra Eva e Adamo svegliati ormai dal loro sonno la donna gli annuncia la buona notizia:  "Ascoltami, sono la tua sposa:  io, che sono stata la prima a provocare la caduta dei mortali, oggi mi rialzo. Considera i prodigi, guarda l'ignara di nozze che guarisce la nostra piaga con il frutto del suo parto. Il serpente una volta mi sorprese e si rallegrò, ma al vedere ora la mia discendenza fuggirà strisciando". La nascita verginale di Cristo diventa guarigione, salvezza per il genere umano ferito dal peccato.
E le risponde Adamo:  "Riconosco la primavera, o donna, e aspiro le delizie da cui decademmo allora. Scorgo un nuovo, diverso paradiso:  la Vergine che porta in grembo l'albero di vita, lo stesso albero sacro che custodivano i cherubini per impedirci di toccarlo. Ebbene, guardando crescere questo intoccabile albero, ho avvertito, o mia sposa, il soffio vivificante che fa di me, polvere e fango immoti, un essere animato. Adesso, rinvigorito dal suo profumo, voglio andare dove cresce il frutto della nostra vita, dalla Piena di grazia". Il risveglio di Adamo è una prefigurazione, in quanto viene collocato nella primavera, cioè nel contesto pasquale in cui sarà definitivamente riportato in paradiso. E questo è anche cambiato, rinnovato:  "Scorgo un nuovo, diverso paradiso", che altro non è se non il grembo della Vergine che porta il nuovo albero della vita.
"Sono sopraffatto dall'amore che sento per l'uomo" risponde il Creatore. "Io, o ancella e madre mia, non ti rattristerò. Ti farò conoscere tutto ciò che sto per fare e avrò rispetto per la tua anima, o Maria. Il bambino che ora porti tra le braccia, lo vedrai fra non molto con le mani inchiodate, perché ama la tua stirpe. Colui che tu nutri, altri l'abbevereranno di fiele; colui che tu chiami vita, dovrai tu vederlo appeso alla croce, e di lui piangerai la morte. Ma tu mi stringerai in un abbraccio allorché sarò risuscitato, o Piena di grazia. Tutto questo sopporterò volentieri, e causa di tutto questo è l'amore che ho sempre sentito e sento tuttora per gli uomini, amore di un Dio che non chiede altro che di poter salvare". All'udire queste parole Maria grida:  "O mio grappolo, che gli empi non ti frantumino! Quando sarai cresciuto, o Figlio mio, che io non ti veda immolato!". Ma egli risponde:  "Non piangere Madre, su ciò che non sai:  se tutto questo non sarà compiuto, tutti coloro, a favore dei quali mi implori, periranno, o Piena di grazia".

Un Dio il quale "non chiede altro che di poter salvare". Questa è la realtà, l'unica realtà che celebriamo in questi giorni nella nostra fede cristiana:  l'amore di Dio per gli uomini manifestatosi pienamente in Gesù Cristo. E viviamo questa realtà in tutta la nostra vita come cristiani. Come cristiani nel condividere - e forse anche nel mettere in contrasto la nostra fede - con un mondo segnato fortemente dall'individualismo, dall'oblio dell'altro, dall'ignoranza degli altri; una fede che dovrà predicare un Dio che è dono gratuito, che perdona, che ama, e perché ama si sacrifica per gli altri e non chiede altro che poter salvare. Lui "nuovo bambino, il Dio prima dei secoli".

Agradecemos al Padre Manuel Nin osb
Rettore del Pontificio Collegio Greco
Roma
Pubblicato sull’Osservatore Romano del 25 dicembre 2008