lunes, 19 de marzo de 2018


La Dormizione della Madre di Dio. Iconografia e innografia nella tradizione bizantina.
Sollevate le porte e accogliete la Madre dell’eterna luce.

            La tradizione bizantina ha come prima grande festa del ciclo liturgico la Natività della Madre di Dio il giorno otto settembre, e lo conclude con la sua Dormizione e transito in cielo il quindici agosto, quasi a volere sottolineare che per ogni cristiano e per tutta la Chiesa la Madre di Dio rappresenta il cammino che introduce al mistero salvifico di Cristo. In Oriente la festa della Dormizione della Madre di Dio viene fissata come tale alla fine del VI secolo dall’imperatore Maurizio (592-602), mentre in Occidente viene introdotta da papa Sergio I alla fine del VII secolo. La festa del 15 agosto, nei libri liturgici bizantini porta il titolo di “Dormizione” della Madre di Dio, e ne celebra il transito e la sua piena glorificazione come primo frutto del mistero pasquale di Cristo stesso. La celebrazione liturgica va preceduta il 14 da un giorno di pre festa, e seguita da un’ottava che si conclude il giorno 23. Come spesso abbiamo potuto vedere nella tradizione bizantina, i testi liturgici delle grandi feste sono una lettura dell’icona della festa, o se si vuole l’icona stessa diventa la visione, l’immagine del mistero di fede cantato dai tropari liturgici. Nella festa della Dormizione della Madre di Dio troviamo due tropari che sono un bel esempio di questa sinergia tra eucologia ed iconografia. Ambedue sono due tropari dell’ufficiatura del vespro.

          Il primo è un lungo tropario, a seguito della glorificazione alla Santa Trinità, ed è una bella descrizione dell’icona stessa della festa, e la presenta quasi una “celebrazione liturgica” della sua dormizione e il suo transito in cielo. È un tropario che alterna gli otto toni musicali della tradizione bizantina che dividono a loro volta il testo liturgico in otto parti, cantando ognuna di queste parti in un tono diverso, dal primo al quinto, dal secondo al sesto, dal terzo al settimo e dal quarto all’ottavo, riprendendo il primo alla fine. Seguendo il tropario stesso troviamo una lettura quasi descrittiva dell’icona stessa della festa: Maria, morta o meglio addormentata, è messa nel bel mezzo dell’icona su un letto, che è un letto funebre certamente ma anche è l’icona di un alare cristiano. Attorno ad esso gli apostoli con diversi altri personaggi, e tra i primi, come nell’icona dell’Ascensione di Cristo e in quella della Pentecoste, sempre Pietro e Paolo, cioè ad indicare la presenza di tutta la Chiesa: “Gli apostoli teofori (tono primo), portati su nubi per l’aria da ogni parte del mondo, a un cenno del divino potere, (tono quinto) giunti presso il tuo corpo immacolato origine di vita, gli tributavano le più calde manifestazioni del loro amore”. Cristo nell’icona, in mezzo a un semicerchio, con gli angeli attorno, regge nelle sue braccia l’anima di sua Madre: Le supreme potenze dei cieli (tono secondo), presentan­dosi insieme al loro Sovrano, (tono quinto) scortano piene di timore il corpo puris­simo che ha accolto Dio; lo precedono in ascesa ul­tramon­dana e, invisibili, gridano alle schie­re che stanno piú in alto: Ecco, è giunta la Madre-di-Dio, regina dell’u­ni­verso”. La presenza degli angeli nella parte superiore dell’icona la accosta tipologicamente a quella dell’Ascensione di Cristo, ed il tropario stesso le applica il versetto del salmo 23, che troviamo anche in diversi tropari della festa dell’Ascensione del Signore: “Sollevate porte…”. Come accennavo nell’icona il letto di Maria è anche altare su cui si celebra la liturgia: gli apostoli attorno che la celebrano, Cristo sul fondo, nell’abside, che la presiede; Pietro che incensa attorno all’altare, quasi al momento del grande ingresso nella Divina Liturgia bizantina: Sollevate le porte (tono terzo), e accoglietela con onori degni del regno ultramondano, lei che è la Madre dell’eterna luce. (tono settimo) Grazie a lei, infatti, si è attuata la salvezza di tutti i mortali. In lei non abbiamo la forza di fissare lo sguardo, ed è impossibile tribu­tarle degno onore”. Maria infine, gloriosamente assunta in cielo, diventa per tutta la Chiesa che la celebra, la grande interceditrice presso suo Figlio: “La sua sovreminenza (tono quarto) eccede infatti ogni mente. (tono ottavo) Tu dunque, o immacolata Madre-di-Dio, che sempre vivi insieme al tuo Re e Figlio apportatore di vita, incessantemente intercedi perché sia pre­ser­vato e salvato da ogni attacco avverso il tuo popolo nuovo: noi godiamo infatti della tua protezione, (tono primo) e per i secoli, con ogni splendore, ti procla­mia-mo beata”.
            Il secondo tropario, sempre preso dal vespro e a seguito della glorificazione trinitaria, mette in evidenza già dall’inizio la presenza, anche nell’icona, di tutto il collegio apostolico, con Pietro ed anche Giacomo primo vescovo di Gerusalemme e fratello del Signore, fatto che collega la festa del 15 agosto alla Città Santa, e anche al Protovangelo di Giacomo, testo apocrifo su cui si fondamenta in molto punti la stessa festa liturgica: “Quando te ne sei andata, o Vergine Madre-di-Dio, presso colui che da te ineffabilmente è nato, erano presen­ti Giacomo fratello di Dio e primo pontefice, insieme a Pietro, venerabilissimo e sommo corifeo dei teologi, e tutto il coro divino degli apostoli: con inni teologici atti a manifestarne la divinità…”. La Dormizione della Madre di Dio si colloca chiaramente nell’economia di salvezza di Cristo stesso; gli apostoli diventano “celebranti” del mistero della redenzione di Cristo per mezzo della “cura” del corpo di Colei che per mezzo di esso divenne dimora di Dio: “…con inni teologici gli apostoli celebravano il divino e ­stra­ordi­nario mistero dell’economia del Cristo Dio; e ­pre­stando le ultime cure al tuo corpo origine di vita e dimora di Dio, gioivano, o degna di ogni canto”. Nella seconda parte del tropario la liturgia in qualche modo si sposta in cielo –quasi il movimento stesso che troviamo nell’anafora eucaristica- e tutte le schiere celesti vengono coinvolte nella lode e nella confessione pure loro del mistero della redenzione di Cristo: “Dall’alto le santissime e nobilis­sime schiere degli angeli, guardava­no con stupo­re il pro­digio e a testa china le une alle altre ­dicevano: Solle­va­te le vostre porte, e accogliete colei che ha parto­rito il Creatore del cielo e della terra; celebriamo con inni di gloria il corpo santo e venerabi­le che ha ospitato il Signore che a noi non è dato contemplare”. Notiamo i due bellissimi titoli cristologici dati a Maria in questo testo: Colei che ha partorito il Creatore e Colei che ha ospitato il Signore. Il tropario si conclude con l’invito alla lode, alla liturgia, di coloro che guardiamo l’icona, che guardiamo la stessa liturgia e che ne diventiamo anche concelebranti: “E noi pure, festeg­giando la tua memo­ria, a te gridi­amo, o degna di ogni canto: Solleva la fronte dei cri­stiani e salva le anime no­stre”.

P. Manuel Nin
Pontificio Collegio Greco
Roma

Sollevate le porte e accogliete
la madre dell'eterna luce

di Manuel Nin
La tradizione bizantina ha come prima grande festa del ciclo liturgico la Natività della Madre di Dio l'8 settembre, e lo conclude con la sua Dormizione e transito in cielo il 15 agosto, quasi a volere sottolineare che per ogni cristiano e per tutta la Chiesa la Vergine rappresenta il cammino che introduce al mistero salvifico di Cristo. Fissata in oriente alla fine del vi secolo e introdotta un secolo più tardi in occidente, la festa del 15 agosto celebra il transito e la piena glorificazione della Madre di Dio come primo frutto del mistero pasquale di Cristo, preceduta il 14 da una prefesta e seguita da un'ottava che si conclude il 23.

Due tropari dell'ufficiatura del vespro esemplificano il rapporto stretto tra eucologia e iconografia. Il primo presenta l'icona della festa come una celebrazione liturgica della Dormizione, alternando gli otto toni musicali della tradizione bizantina: Maria, morta o meglio addormentata, è al centro dell'icona su un letto funebre che raffigura però anche un altare cristiano. Attorno stanno gli apostoli con altri personaggi: tra i primi vi sono sempre Pietro e Paolo, che indicano la presenza di tutta la Chiesa.
Cristo, in mezzo a un semicerchio e con gli angeli attorno, regge nelle braccia l'anima di sua madre: "Le supreme potenze dei cieli, presentandosi insieme al loro sovrano, scortano piene di timore il corpo purissimo che ha accolto Dio; lo precedono in ascesa ultramondana e, invisibili, gridano alle schiere che stanno più in alto: Ecco, è giunta la Madre di Dio, regina dell'universo". La presenza degli angeli nella parte superiore accosta l'icona a quella dell'Ascensione di Cristo.
Il letto di Maria è anche altare dove si svolge la liturgia: gli apostoli attorno che la celebrano, Cristo sul fondo, nell'abside, che la presiede; Pietro che incensa attorno all'altare, come al momento del grande ingresso nella Divina liturgia bizantina: "Sollevate le porte e accogliete con onori degni del regno ultramondano lei che è la madre dell'eterna luce. Grazie a lei, infatti, si è attuata la salvezza di tutti i mortali. In lei non abbiamo la forza di fissare lo sguardo ed è impossibile tributarle degno onore".
Maria infine, gloriosamente assunta in cielo, diventa per tutta la Chiesa che la celebra colei che intercede presso suo figlio: "La sua sovreminenza eccede infatti ogni mente. Tu dunque, o immacolata Madre di Dio, che sempre vivi insieme al tuo re e figlio apportatore di vita, incessantemente intercedi perché sia preservato e salvato da ogni attacco avverso il tuo popolo nuovo: noi godiamo infatti della tua protezione, e per i secoli, con ogni splendore, ti proclamiamo beata".
Il secondo tropario mette in evidenza la presenza, anche nell'icona, di tutto il collegio apostolico, con Pietro e Giacomo, primo vescovo di Gerusalemme e fratello del Signore. Questo collega la festa alla città santa e al Protovangelo di Giacomo, apocrifo su cui si basa in molti punti la festa stessa: "Quando te ne sei andata, o Vergine Madre di Dio, presso colui che da te ineffabilmente è nato, erano presenti Giacomo, fratello di Dio e primo pontefice, insieme a Pietro, venerabilissimo e sommo corifeo dei teologi, e tutto il coro divino degli apostoli".
La Dormizione della Madre di Dio si colloca chiaramente nell'economia di salvezza di Cristo stesso; gli apostoli diventano celebranti del mistero della redenzione di Cristo per mezzo della cura del corpo di colei che divenne dimora di Dio: "Con inni teologici gli apostoli celebravano il divino e straordinario mistero dell'economia del Cristo Dio; e prestando le ultime cure al tuo corpo origine di vita e dimora di Dio, gioivano, o degna di ogni canto".
Nella seconda parte del tropario la liturgia in qualche modo si sposta in cielo - è quasi il movimento che troviamo nell'anafora eucaristica - e tutte le creature angeliche vengono coinvolte nella lode e nella confessione del mistero della redenzione di Cristo: "Dall'alto le santissime e nobilissime schiere degli angeli guardavano con stupore il prodigio e a testa china le une alle altre dicevano: Sollevate le vostre porte, e accogliete colei che ha partorito il Creatore del cielo e della terra; celebriamo con inni di gloria il corpo santo e venerabile che ha ospitato il Signore che a noi non è dato contemplare. E noi pure, festeggiando la tua memoria, a te gridiamo, o degna di ogni canto: Solleva la fronte dei cristiani e salva le anime nostre".


P. Manuel Nin
Pontificio Collegio Greco
Roma
(©L'Osservatore Romano 13-14 agosto 2012)

viernes, 9 de febrero de 2018


La Trasfigurazione del Signore. Iconografia e innografia nella tradizione bizantina.
Oggi la natura umana riacquista la sua antica bellezza…

           

La festa della Trasfigurazione è una delle Dodici Grandi feste del calendario bizantino; ha un giorno di pre festa il 5 agosto, ed un’ottava che si conclude il 13 dello stesso mese. L’iconografia della festa, già a partire dal bellissimo mosaico del VI secolo nel monastero di Santa Caterina del Sinai, riprende la narrazione evangelica con il Signore trasfigurato al centro, avvolto di luce, Mosè ed Elia ai lati e sotto i tre discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni che non osano quasi a guardare la luce abbagliante che viene dal Signore. L’ufficiatura della festa, in uno dei tropari, fa quasi una semplice parafrasi dell'icona, come se l’innografo leggesse l’icona componendo i suoi inni liturgici: “…il mistero nascosto dall’eterni­tà, lo ha negli ultimi tempi manifestato a Pietro, Giovanni e Giacomo la tua tremenda trasfigu­razione: essi, non sopportando il fulgore del tuo volto e lo splendore delle tue vesti, oppressi stavano curvi col volto a terra; nella loro estasi stupivano vedendo Mosè ed Elia che parlavano con te di quanto ti doveva accade­re. Una voce da parte del Padre dava testimonian­za, dicendo: Questi è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compi­aciuto: ascoltate­lo, egli donerà al mondo la grande misericordia”.

            La liturgia bizantina, in questa festa, collega strettamente il mistero della trasfigurazione di Cristo alla sua passione: nella salita sul Tabor per primo e in quella sul Calvario dopo; anche per la presenza dei discepoli meravigliata nell’ora della trasfigurazione, smarrita poi nell’ora della passione: “Prima che tu salissi sulla croce, Signore, un monte ha raffigurato il cielo, e una nube lo sovrastava come tenda. Mentre tu ti trasfiguravi e ricevevi la testimonianza del Padre, erano con te Pietro, Giacomo e Giovanni, perché, dovendo essere con te anche nell’ora del tradimen­to, grazie alla contemplazione delle tue meravi­glie non temessero di fronte ai tuoi patimen­ti… Prima della tua croce, o Signore, prendendo con te i discepoli su un alto monte, davanti a loro ti sei trasfigurato, illuminandoli con bagliori di potenza, volendo mostrare loro lo splendore della risurrezione…”. La trasfigurazione quindi vuol preparare e in qualche modo rafforzare i discepoli di fronte alla passione di Cristo, e allo stesso tempo è prefigurazione della sua risurrezione; uno dei tropari del vespro accosta ambedue i fatti salvifici, mettendo in parallelo la presenza della luce abbagliante, gli angeli, il tremore della terra di fronte al Signore trasfigurato e quindi risorto: “Prefigurando la tua risurrezione, o Cristo Dio, prendesti con te i tuoi tre discepoli, Pietro, Giacomo e Giovanni per salire sul Tabor. E mentre tu ti tra­sfi­guravi, o Salvatore, il monte Tabor si ricopriva di luce. I tuoi discepoli, o Verbo, si gettarono a ter­ra, non sopportando la vista della forma che non è dato contemplare. Gli angeli prestavano il loro servi­zio con timore e tremore; fremettero i cieli e la terra tremò, perché sulla terra vedevano il Signore della gloria”.
            La presenza di Mosè ed Elia nella trasfigurazione la collegano anche alla teofania divina al monte Sinai, e allo stesso tempo essi diventano testimoni della sua divino umanità: “Colui che un tempo, mediante simboli, aveva parlato con Mosè sul monte Sinai, dicendo: Io sono ‘Colui che È’, trasfiguratosi oggi sul monte Tabor alla presenza dei discepoli, ha mostrato come in lui la natura umana riacquistasse la bellezza archeti­pa del­l’im­magine. Prendendo a testimoni di una tale grazia Mosè ed Elia, li rendeva partecipi della sua gioia, mentre essi prean­nuncia­vano il suo esodo tramite la croce, e la salvifi­ca risurrezione”. Quindi troviamo tre testi veterotestamentari che sono presenti come filo conduttore dell'esegesi della festa, collegati alla figura di Mose il primo: “Colui che un tempo aveva parlato con Mosè sul monte Sinai… trasfiguratosi oggi sul monte Tabor…”; ad Elia il secondo, nella sua ascensione in 2Re 2: “Mosè il veggente ed Elia, l’auriga di fuoco, che senza bruciare ha corso i cieli, vedendoti nella nube al momento della tua trasfigurazione, hanno attestato che tu sei, o Cri­sto, l’autore della Legge e dei profeti e colui che li porta a compimento…”. A Davide il terzo nel testo del salmo 88,12-13: “Prevedendo in Spirito la tua venuta tra gli uomini, nella carne, o Figlio Unigenito, già da lungi Davi­de, padre di Dio, convocava la creazione alla festa, esclamando profe­ticamente: Il Tabor e l’Ermon nel tuo nome esulteranno...”. La bellezza e la gloria di Cristo trasfigurato manifestano anche la bellezza e la gloria della natura umana che viene rinnovata, redenta dal Signore della gloria: “… oggi il Signore sul monte Tabor alla presenza dei discepoli, ha mostrato come in lui la natura umana riacquistasse la bellezza archeti­pa del­l’im­magine… Salito infatti su questo monte, o Salvatore, insieme ai tuoi discepoli, trasfiguran­doti hai reso di nuovo radiosa la natura un tempo oscu­ratasi in Adamo, facendola passare alla gloria e allo splendore della tua divinità…”.
            Il cànone del mattutino della festa, opera di san Giovanni Damasceno (VII-VIII secoli) con delle immagini bellissime avvicina ambedue le teofanie, quella veterotestamentaria sul Sinai e quella neotestamentaria sul Tabor; da notare come la roccia che sul Sinai protegge Mosè dal morire alla visione divina, nella trasfigurazione lo protegge la stessa umanità di Cristo: “Mosè, sul mare, vedendo un tempo profeticamente nella nube e nella colonna di fuoco la gloria del Signo­re, esclamava: Cantiamo al nostro Redentore e Dio… Protetto dal corpo deificato come un tempo dalla roccia, il veggente Mosè, contemplando l’invisibile, esclamava: Cantiamo al nostro Redentore e Dio… La gloria che un tempo adombrava la tenda e parlava con Mosè tuo servo, era figura della tua tra­sfigurazione… Tu che sei il Dio Verbo, sei divenuto pienamente uomo, congiungendo nella tua persona l’umanità alla pienezza della divinità…”.
         Il collegamento tra la trasfigurazione di Cristo e la sua passione, e la presenza di Mosè e di Elia porta infine l’innografo a riprendere la centralità del mistero della croce di Cristo già prefigurata nei fatti veterotestamentari: “Tracciando una croce, Mosè, col bastone verticale, divise il Mar Rosso… poi lo riunì su se stesso con frastu­ono… una verga è assunta come figura del mistero perché, con la sua fioritura per la Chiesa un tempo sterile, è fiorito ora l’albero della croce… o albero beatissimo, su cui è stato steso Cristo, Re e Signore! Per te è caduto colui che con un albero aveva ingannato, è stato adescato da Dio che nella carne in te è stato confitto, e che dona la pace alle anime nostre”.
 P. Manuel Nin
Pontificio Collegio Greco
Roma


La Trasfigurazione del Signore nella tradizione bizantina 

Oggi la natura umana riacquista 
la sua antica bellezza

di Manuel Nin
La festa della Trasfigurazione è una delle dodici Grandi feste del calendario bizantino, con una prefesta il 5 agosto e un’ottava che si conclude il 13. Già a partire dal bellissimo mosaico del vi secolo nel monastero di Santa Caterina del Sinai, l’iconografia riprende la narrazione evangelica con il Signore al centro, avvolto di luce, Mosè ed Elia ai lati e sotto i tre discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni che non osano quasi guardare la luce abbagliante.
In un tropario l’ufficiatura fa quasi una parafrasi dell’icona, come se l’innografo la leggesse: "Il mistero nascosto dall’eternità è stato negli ultimi tempi manifestato a Pietro, Giovanni e Giacomo dalla tua tremenda trasfigurazione. Essi, non sopportando il fulgore del tuo volto e lo splendore delle tue vesti, oppressi stavano curvi col volto a terra; nella loro estasi stupivano vedendo Mosè ed Elia che parlavano con te di quanto ti doveva accadere. Una voce da parte del Padre dava testimonianza, dicendo: Questi è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto: ascoltatelo, egli donerà al mondo la grande misericordia".
La liturgia collega strettamente il mistero della trasfigurazione di Cristo alla sua passione: la salita sul Tabor e quella sul Calvario, dove la presenza dei discepoli meravigliata nell’ora della trasfigurazione viene smarrita in quella della passione: "Prima che tu salissi sulla croce, Signore, un monte ha raffigurato il cielo, e una nube lo sovrastava come tenda. Mentre tu ti trasfiguravi e ricevevi la testimonianza del Padre, erano con te Pietro, Giacomo e Giovanni, perché, dovendo essere con te anche nell’ora del tradimento, grazie alla contemplazione delle tue meraviglie non temessero di fronte ai tuoi patimenti. Prima della tua croce, o Signore, prendendo con te i discepoli su un alto monte, davanti a loro ti sei trasfigurato, illuminandoli con bagliori di potenza, volendo mostrare loro lo splendore della risurrezione".
Uno dei tropari del vespro accosta passione e risurrezione, mettendo in parallelo la presenza della luce abbagliante, gli angeli, il tremore della terra di fronte al Signore trasfigurato e risorto: "Prefigurando la tua risurrezione, o Cristo Dio, prendesti con te i tuoi tre discepoli, Pietro, Giacomo e Giovanni per salire sul Tabor. E mentre tu ti trasfiguravi, o Salvatore, il monte Tabor si ricopriva di luce. I tuoi discepoli, o Verbo, si gettarono a terra, non sopportando la vista della forma che non è dato contemplare. Gli angeli prestavano il loro servizio con timore e tremore; fremettero i cieli e la terra tremò, perché sulla terra vedevano il Signore della gloria".
La presenza di Mosè ed Elia esprime il collegamento con la teofania sul Sinai: "Colui che un tempo, mediante simboli, aveva parlato con Mosè sul monte Sinai, dicendo: Io sono Colui che è, trasfiguratosi oggi sul monte Tabor alla presenza dei discepoli, ha mostrato come in lui la natura umana riacquistasse la bellezza archetipa dell’immagine. Prendendo a testimoni di una tale grazia Mosè ed Elia, li rendeva partecipi della sua gioia, mentre essi preannunciavano il suo esodo tramite la croce e la salvifica risurrezione".
Tre testi veterotestamentari sono presenti come filo conduttore. Il primo è collegato a Mosè: "Colui che un tempo aveva parlato con Mosè sul monte Sinai trasfiguratosi oggi sul monte Tabor". Il secondo (2 Re, 2) a Elia: "Mosè il veggente ed Elia, l’auriga di fuoco, che senza bruciare ha corso i cieli, vedendoti nella nube al momento della tua trasfigurazione, hanno attestato che tu sei, o Cristo, l’autore della Legge e dei Profeti e colui che li porta a compimento". Il terzo (Salmi, 88, 12-13) a Davide: "Prevedendo in Spirito la tua venuta tra gli uomini, nella carne, o Figlio Unigenito, già da lungi Davide convocava la creazione alla festa, esclamando profeticamente: Il Tabor e l’Ermon nel tuo nome esulteranno".
La bellezza e la gloria di Cristo trasfigurato manifestano anche la bellezza e la gloria della natura umana rinnovata: "Oggi il Signore sul monte Tabor alla presenza dei discepoli ha mostrato come in lui la natura umana riacquistasse la bellezza archetipa dell’immagine. Salito infatti su questo monte, o Salvatore, insieme ai tuoi discepoli, trasfigurandoti hai reso di nuovo radiosa la natura un tempo oscuratasi in Adamo, facendola passare alla gloria e allo splendore della tua divinità". Infine, il canone del mattutino, opera di san Giovanni Damasceno, avvicina la teofania sul Sinai a quella sul Tabor: "La gloria che un tempo adombrava la tenda e parlava con Mosè tuo servo era figura della tua trasfigurazione. Tu che sei il Dio Verbo, sei divenuto pienamente uomo, congiungendo nella tua persona l’umanità alla pienezza della divinità".
P. Manuel Nin
Pontificio Collegio Greco
Roma
(©L'Osservatore Romano 5 agosto 2012)

viernes, 26 de enero de 2018

La Pentecoste. 
Iconografia e innografia nella tradizione bizantina.
Oggi il Cristo illumi­na i pescatori con lo Spirito e li convoca all’unità

            La festa della Pentecoste come festa liturgica si celebra in tutte le liturgie cristiane il cinquantesimo giorni dopo la Pasqua, ed è una delle feste più antiche del calendario cristiano. Già nel III secolo ne parlano Tertulliano ed Origene, e la indicano come festa celebrata annualmente, e già nel IV secolo entra a far parte del patrimonio teologico/liturgico delle diverse Chiese; Egeria poi ne indica la celebrazione a Gerusalemme nella seconda metà del IV secolo. L’icona della Pentecoste normalmente ritrae gli apostoli, in due gruppi, con Pietro e Paolo presiedendo ognuno dei due. Si tratta soprattutto di un=icona liturgica; in essa gli apostoli sono radunati come nella celebrazione della liturgia, come una concelebrazione attorno al trono vuoto, preparato per Cristo. La presenza di Pietro e Paolo nell’icona sottolinea la presenza di tutta la Chiesa in attesa dello Spirito Santo e da lui stesso radunata. L’icona mette in luce come la Chiesa nasce in una situazione di profonda comunione tra gli apostoli, in un contesto di cui dovrebbe scaturirne anche la comunione per tutta la Chiesa, per tutto il mondo.
            I tropari dell'’ufficiatura bizantina della Pentecoste hanno un carattere marcatamente trinitario, e diventano quasi un canto liturgico del simbolo di fede niceno costantinopolitano. Uno di essi è nella sua prima parte tutta una professione di fede trinitaria; quindi nella seconda parte diventa una parafrasi del canto del Trisaghion: “Santo Dio, Santo Forte, Santo Immortale”, letto in chiave chiaramente trinitaria: “Venite, popoli, adoriamo la Deità trisipostatica: il Figlio nel Padre insieme al santo Spirito. Il Padre infatti ha intemporalmente generato il Figlio coeterno e con lui regnante, e lo Spirito santo era nel Padre, glorificato insieme al Figlio; una sola potenza, una sola sostanza, una sola divinità che noi tutti adoriamo dicendo: Santo Dio, che tutto hai creato mediante il Figlio, con la sinergia del santo Spirito; Santo forte, per il quale abbiamo conosciuto il Padre e per il quale lo Spirito santo è venuto nel mondo; Santo immortale, o Spirito Paraclito, che dal Padre procedi e nel Figlio riposi. Triade santa, gloria a te”. Mentre le Chiese di tradizione siriaca e le altre Chiese anticalcedoniane leggono il Trisaghion in chiave cristologica,q uesto tropario manifesta evidentemente la lettura trinitaria che ne fanno le Chiese di tradizione bizantina.
            Diversi dei testi liturgici fanno tutto un parallelo tra Babele e Pentecoste; la prima luogo di confusione e di divisione, la seconda luogo di concordia e di lode:
“Un tempo si confusero le lingue per l’audacia che spinse a costruire la torre, ma ora le lingue sono riempite di sapienza per la gloria della scienza divina. Là, Dio condannò gli empi per la loro colpa, qui il Cristo illumi­na i pescatori con lo Spirito. Allora si produsse come castigo l’impossibilità di parlarsi, adesso si inau­gura la concorde sinfonia delle voci per la salvezza delle anime nostre… Quando discese a confondere le lingue, l’Altissimo divise le genti; quando distribuì le lingue di fuoco, convocò tutti all’unità. E noi glorifichiamo ad una sola voce lo Spirito tutto santo”.
            Due dei tropari dell'ufficiatura del vespro sono un commento dell'’icona della festa: la potenza dello Spirito Santo effusa sugli apostoli, il dono delle lingue: “Poiché le genti ignoravano, o Signore, la potenza dello Spirito santissimo effusa sui tuoi apostoli, attri­buivano a ubriachezza l’alternarsi delle diverse lingue. Ma noi, che da loro siamo stati confermati, incessan­temente cosí diciamo: Il tuo santo Spirito non togliere da noi, o amico degli uomini, te ne preghi­a­mo… Signore, l’effusione del tuo santo Spirito che ha colmato i tuoi apostoli, li ha resi capaci di parlare in lingue straniere: il prodigio pareva dunque ubriachezza agli increduli, ma, per i credenti, era apportatore di salvez­za. Rendi degni anche noi dell’illu­minazione del tuo Spirito, o amico degli uomini, te ne preghiamo”.
            Sempre nei testi liturgici della festa, troviamo due tropari che sono a loro volta entrati nella celebrazione quotidiana della liturgia bizantina. Il primo è il tropario: “Re celeste, Paraclito, Spirito della verità, tu che ovunque sei e tutto riempi, tesoro dei beni ed elargitore di vita, vieni ed abita in mezzo a noi, purificaci da ogni macchia e salva, o buono, le anime nostre”; questo testo è diventato l’invocazione iniziale dello Spirito Santo che incomincia tutte le celebrazioni liturgiche bizantine lungo l’anno liturgico, eccetto il periodo pasquale. Il secondo tropario: “Abbiamo visto la luce vera, abbiamo ricevuto lo Spirito celeste, abbiamo trovato la fede vera, adorando l’indi­visibile Trinità: essa infatti ci ha salvati”; è il testo che si canta immediatamente dopo aver ricevuto la comunione ai santi Doni del Corpo e del Sangue di Cristo. I Doni santificati dallo Spirito Santo diventano per coloro che li ricevono luce veritiera, fede vera e lode alla santa Trinità.
            “Benedetto sei tu, Cristo Dio nostro: tu hai reso sapientissimi i pescatori, inviando loro lo Spirito santo, e per mezzo loro hai preso nella rete l’uni­ver­so. Amico degli uomini, gloria a te”. Questo tropario inquadra tutta la festa della Pentecoste nella tradizione bizantina e la sua stessa icona: grazie al dono dello Spirito Santo i discepoli portano al mondo la buona novella: il Padre, per mezzo del Figlio manda lo Spirito Santo alla Chiesa, a ognuno dei suoi discepoli.
Se la Pentecoste cristiana -il dono dello Spirito alla Chiesa- comincia il giorno che ci viene descritto negli Atti degli Apostoli, essa non vi rimane chiusa, ma continua a farsi presente -lo Spirito Santo- ogni giorno nella vita della comunità e nella vita di ognuno dei fedeli che lo invoca con fede. L=epicle­si eucaristica fatta ogni giorno sui Santi Doni è una invocazione dello Spirito Santo sui Doni e sui fedeli: “Ancora ti offriamo questo culto spirituale e incruento, e ti invochiamo, preghiamo e supplichiamo: manda il tuo Spirito Santo su di noi e su questi doni a te offerti... Perché diventi, per coloro che ne partecipa­no, purificazione dell=anima, remissione dei peccati, comunione del tuo Spirito Santo, pienezza del regno, fiducia davanti a Te...”.



Nell'iconografia e nell'innografia della tradizione bizantina 

Cristo illumina
con lo Spirito e convoca all'unità

di Manuel Nin

La Pentecoste è una delle feste più antiche del calendario cristiano. Già nel III secolo ne parlano Tertulliano e Origene, e la indicano come festa celebrata annualmente. L'icona della Pentecoste normalmente ritrae gli apostoli, in due gruppi, presieduti da Pietro e Paolo. Si tratta soprattutto di un'icona liturgica; in essa gli apostoli sono radunati come nella celebrazione della liturgia, come una concelebrazione attorno al trono vuoto, preparato per Cristo. La presenza di Pietro e Paolo nell'icona sottolinea la presenza di tutta la Chiesa in attesa dello Spirito Santo e da lui stesso radunata. L'icona mette in luce come la Chiesa nasce in una situazione di profonda comunione tra gli apostoli, in un contesto di cui dovrebbe scaturirne anche la comunione per tutta la Chiesa, per tutto il mondo."Benedetto sei tu, Cristo Dio nostro: tu hai reso sapientissimi i pescatori, inviando loro lo Spirito santo, e per mezzo loro hai preso nella rete l'universo. Amico degli uomini, gloria a te". Questo tropario inquadra tutta la festa della Pentecoste nella tradizione bizantina e la sua stessa icona. Grazie al dono dello Spirito Santo i discepoli portano al mondo la buona novella: il Padre, per mezzo del Figlio manda lo Spirito Santo alla Chiesa, a ognuno dei suoi discepoli sparsi nel mondo.

P. Manuel Nin
Pontificio Collegio Greco
Roma



lunes, 15 de enero de 2018

L’Ascensione del Signore. Iconografia e innografia nella tradizione bizantina.
Tu che per me come me ti sei fatto povero…


La festa dell’Ascensione del Signore si celebra il quarantesimo giorno dopo la sua risurrezione, cioè il giovedì della sesta settimana di Pasqua. L=icona della festa riprende due testi del Nuovo Testamento: Lc 24,50-53: Poi il Signore condusse i discepoli fuori e alzate le mani li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e fu portato verso il cielo... e Atti 1,9-11: ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: Questo Gesù che è stato assunto di tra voi... tornerà un giorno... Si tratta senz’altro dell'icona dell'Ascensione del Signore, ma anche l’icona della sua seconda venuta. L=immagine è divisa in due parti ben distinte: quella superiore dove si vede Cristo assiso su un trono, ascendente e immobile nella sua gloria, sostenuto da due angeli. Nella parte inferiore l’icona colloca la Madre di Dio in mezzo ai discepoli, tra cui c’è Pietro a destra e Paolo a sinistra, e due angeli in bianche vesti. L=icona dell=Ascensione –e la stessa festa dell=Ascensione come vedremo nei testi liturgici- contempla Cristo nel suo innalzarsi, sostenuto dagli angeli. Quindi dalla sua Ascensione fino al suo ritorno Cristo Signore presiede la sua Chiesa -nell=icona questo è molto evidente; Lui dal suo trono presiede la Chiesa formata dagli apostoli, presiede la preghiera della Chiesa. L=atteggiamento di Maria nell’icona è sempre lo stesso: la preghiera. Lei no guarda in alto -in quasi nessuna icona dell=Ascensione-, ma guarda di fronte, essa stessa guarda la Chiesa per ricordarle la necessità della veglia, dell'’attesa, della preghiera. Icona dell=Ascensione di Cristo, ma anche l=icona della Chiesa nata dalla croce di Cristo: nell’icona su potrebbe anche legere una croce formata dall’asse verticale da Cristo a Maria, e l’asse orizzontale che percorre le teste degli angeli in bianche vesti e gli apostoli stessi; icona della Chiesa che vive da e nella preghiera della comunità e dalla testimonianza degli apostoli, mentre è nella attesa del ritorno del suo Signore.
            L’icona dell'Ascensione e i testi dell'ufficiatura della festa sottolineano come il Signore, ascendendo in cielo esalta l’umanità da noi assunta: “Tu che, senza separarti dal seno paterno, o dolcissimo Gesú, hai vissuto sulla terra come uomo, oggi dal Monte degli Ulivi sei asceso nella gloria: e risollevando, compassionevole, la nostra natura caduta, l=hai fatta sedere con te accanto al Padre. Per questo le celesti schiere degli incorporei, sbigottite per il prodigio, estatiche stupivano e, prese da tremore, magnificavano il tuo amore per gli uomini…”.
            L’Ascensione del Signore nei testi della liturgia della festa è sempre pegno della sua promessa e della missione dello Spirito Santo. L’icona della festa della Pentecoste infatti riprenderà quasi uguale la parte inferiore dell'icona dell'Ascensione: in ambedue vediamo la Madre di Dio e gli apostoli in atteggiamento di preghiera contemplando il Cristo ascendente; la Madre di Dio e gli apostoli, la Chiesa stessa in atteggiamento di preghiere per ricevere il dono dello Spirito Santo: “Il Signore è asceso ai cieli per mandare il Paraclito nel mondo. I cieli hanno preparato il suo trono, le nubi il carro su cui salire; stupiscono gli angeli vedendo un uomo al di sopra di loro. Il Padre riceve colui che dall=eternità, nel suo seno dimora… Signore, quando gli apostoli ti videro sollevarti sulle nubi, gemendo nel pianto, pieni di tristezza, o Cristo datore di vita, tra i lamenti dicevano: O Sovrano, non lasciare orfani i tuoi servi che tu, pietoso, hai amato nella tua tenera compassione: mandaci, come hai promesso, lo Spirito santissimo per illuminare le anime nostre…”.
            Tutta l’economia della nostra salvezza, il mistero dell'incarnazione del Verbo di Dio, viene riassunto in uno dei tropari del vespro, che lo presenta con l’immagine della povertà assunta dal Signore nel suo farsi uomo: “Signore, compiuto il mistero della tua economia, hai preso con te i tuoi discepoli e sei salito sul Monte degli Ulivi: ed ecco, te ne sei andato oltre il firmamento del cielo. O tu che per me come me ti sei fatto povero, e sei asceso là, da dove mai ti eri allontanato, manda il tuo Spirito santissimo per illuminare le anime nostre”.
            Uno dei tropari dell'ufficiatura del vespro canta l’ascensione del Signore servendosi del salmo 23 nella sua forma dialogica, così come lo troviamo anche nella stessa notte di Pasqua nella liturgia bizantina: “Mentre tu ascendevi, o Cristo, dal Monte degli Ulivi, le schiere celesti che ti vedevano, si gridavano l=un l=altra: Chi è costui? E rispondevano: È il forte, il potente, il potente in battaglia; costui è veramente il Re della gloria. Ma perché sono rossi i suoi vestiti? Viene da Bosor, cioè dalla carne. E tu, dopo esserti assiso in quanto Dio alla destra della Maestà, ci hai inviato lo Spirito Santo per guidare e salvare le anime nostre”.
            Icona e festa dell'Ascensione del Signore; icona e festa della sua seconda  venuta. Diversi dei testi del mattutino della festa sottolineano questo doppio aspetto, commentando quasi iconograficamente l’uno e l’altro: “Uccisa la morte con la tua morte, o Signore, hai preso con te quelli che amavi, sei salito al santo Monte degli Ulivi, e di là sei asceso al tuo Genitore, o Cristo, portato da una nube… Agli apostoli che continuavano a guardare dissero gli angeli: Uomini di Galilea, perché restate sbigottiti per l=ascensione del Cristo, datore di vita? Così egli stesso verrà di nuovo sulla terra per giudicare tutto il mondo, quale giustissimo Giudice…”. Il tropario della festa raccoglie i diversi aspetti della festa stessa: “Sei asceso nella gloria, o Cristo Dio nostro, rallegrando i discepoli con la promessa del Santo Spirito: essi rimasero confermati dalla tua benedizione, perché tu sei il Figlio di Dio, il Redentore del mondo”.

P. Manuel Nin
Pontificio Collegio Greco
Roma


E gli angeli magnificano
il tuo amore per noi

di MANUEL NIN
L'Ascensione del Signore si celebra il quarantesimo giorno dopo la sua risurrezione, cioè il giovedì della sesta settimana di Pasqua. L'icona è anche quella della sua seconda venuta. L'immagine è divisa in due parti ben distinte. Nella superiore si vede Cristo su un trono, ascendente e immobile nella sua gloria, sostenuto da due angeli. In quella inferiore l'icona colloca la Madre di Dio in mezzo ai discepoli, tra cui Pietro a destra e Paolo a sinistra, e due angeli in bianche vesti.
Cristo presiede la Chiesa formata dagli apostoli e la sua preghiera dall'Ascensione fino al suo ritorno. Nell'icona questo è molto evidente, e l'atteggiamento di Maria è sempre lo stesso: la preghiera. Lei non guarda in alto, ma di fronte: per ricordare alla Chiesa la necessità della veglia, dell'attesa, della preghiera. Ma l'icona è anche immagine della Chiesa nata dalla croce di Cristo, suggerita dal disegno della croce formata dall'asse verticale che va da Cristo a Maria e dall'asse orizzontale che separa gli angeli dagli apostoli: rappresentazione della Chiesa che vive nella preghiera e della testimonianza degli apostoli mentre è nell'attesa del ritorno del suo Signore.
I testi dell'ufficiatura sottolineano come il Signore, ascendendo in cielo esalta l'umanità: "Tu che, senza separarti dal seno paterno, o dolcissimo Gesù, hai vissuto sulla terra come uomo, oggi dal Monte degli Ulivi sei asceso nella gloria: e risollevando, compassionevole, la nostra natura caduta, l'hai fatta sedere con te accanto al Padre. Per questo le celesti schiere degli incorporei, sbigottite per il prodigio, estatiche stupivano e, prese da tremore, magnificavano il tuo amore per gli uomini".
L'Ascensione del Signore nei testi liturgici della festa è sempre pegno della sua promessa e della missione dello Spirito Santo: "Il Signore è asceso ai cieli per mandare il Paraclito nel mondo. I cieli hanno preparato il suo trono, le nubi il carro su cui salire; stupiscono gli angeli vedendo un uomo al di sopra di loro. Il Padre riceve colui che dall'eternità, nel suo seno dimora. Signore, quando gli apostoli ti videro sollevarti sulle nubi, gemendo nel pianto, pieni di tristezza, o Cristo datore di vita, tra i lamenti dicevano: O Sovrano, non lasciare orfani i tuoi servi che tu, pietoso, hai amato nella tua tenera compassione: mandaci, come hai promesso, lo Spirito santissimo per illuminare le anime nostre".
Tutta l'economia della nostra salvezza, il mistero dell'incarnazione del Verbo di Dio, è riassunto in un tropario del vespro, che lo presenta con l'immagine della povertà assunta dal Signore nel suo farsi uomo: "Signore, compiuto il mistero della tua economia, hai preso con te i tuoi discepoli e sei salito sul Monte degli Ulivi: ed ecco, te ne sei andato oltre il firmamento del cielo. O tu che per me come me ti sei fatto povero, e sei asceso là, da dove mai ti eri allontanato, manda il tuo Spirito santissimo per illuminare le anime nostre".
Un altro tropario del vespro si serve del salmo 23, come nella notte di Pasqua: "Mentre tu ascendevi, o Cristo, dal Monte degli Ulivi, le schiere celesti che ti vedevano, si gridavano l'un l'altra: Chi è costui? E rispondevano: È il forte, il potente, il potente in battaglia; costui è veramente il Re della gloria. Ma perché sono rossi i suoi vestiti? Viene da Bosor, cioè dalla carne. E tu, dopo esserti assiso in quanto Dio alla destra della Maestà, ci hai inviato lo Spirito Santo per guidare e salvare le anime nostre".
Ascensione del Signore e sua seconda venuta. Diversi testi del mattutino sottolineano questo doppio aspetto: "Uccisa la morte con la tua morte, o Signore, hai preso con te quelli che amavi, sei salito al santo Monte degli Ulivi, e di là sei asceso al tuo Genitore, o Cristo, portato da una nube. Agli apostoli che continuavano a guardare dissero gli angeli: Uomini di Galilea, perché restate sbigottiti per l'ascensione del Cristo, datore di vita? Così egli stesso verrà di nuovo sulla terra per giudicare tutto il mondo, quale giustissimo giudice".

P. Manuel Nin
Pontificio Collegio Greco
Roma


martes, 2 de enero de 2018

L’Annunciazione del Signore. Iconografia e innografia nella tradizione bizantina.
Oggi Colui che non ha carne, prende carne da Maria….

           
La festa dell’Annunciazione della Santissima Madre di Dio e sempre vergine Maria, ha il suo fondamento biblico nei Vangeli, specialmente in quello di Luca, ed è l’unica grande festa che troviamo lungo la Quaresima nella tradizione bizantina. Si tratta di una antica festa cristiana, introdotta in ambito costantinopolitano attorno al 530. L’icona della festa è molto semplice e si potrebbe dire essenziale, e contiene i due personaggi della narrazione evangelica: l’arcangelo Gabriele in atteggiamento annunziante, recando nelle mani uno scettro regale, e la vergine Maria in atteggiamento accogliente della parola dell'arcangelo, del Verbo di Dio, con una o le due mani alzate in gesto di preghiera. Dall’alto dell'icona al centro un raggio che si triplica con una colomba al centro scendendo su Maria indica la forza di Dio che la copre con la sua ombra.
            L’iconografia del 25 marzo viene cantata dalla stessa innografia liturgica della festa. Tutti i tropari sono quasi dei dialoghi tra l’arcangelo Gabriele e Maria. Soprattutto nei tre primi tropari dell’ufficiatura del vespro troviamo come una lettura liturgica dell'’iconografia della festa. Nel primo dei tropari l’arcangelo saluta la vergine con sette “gioisci” che introducono tutta una serie di temi cristologici presi da immagini dell’Antico Testamento: “Per rivelarti l=eterno consiglio, si presentò Gabriele, o Vergine, salutandoti e così parlando: Gioisci, terra non seminata; gioisci, roveto incombusto; gioisci, abisso imperscrutabile; gioisci, ponte che fa passare ai cieli e scala elevata contemplata da Giacobbe; gioisci, divina urna della manna; gioisci, liberazione dalla maledizione; gioisci, ritorno di Adamo dall=esilio…”. Tutta una serie di immagini che troviamo poi più sviluppate nell’inno Akathistos, collegato anch’esso alla festa dell'’Annunciazione. La presenza unica di Gabriele nell’indirizzarsi, nel parlare alla vergine, viene contrastata dal secondo dei tropari dove si sviluppa la risposta di Maria; manifesta lo stupore davanti alle parole di colui, l’arcangelo, che gli appare sotto forma quasi umana. Maria stessa applica a se stessa le immagini prese dai salmi e che vengono applicate al mistero dell'’incarnazione del Verbo di Dio: “Mi appari come uomo, disse la Vergine incorrotta al principe dell=esercito celeste: come dunque pronunci parole che oltrepassano l=uomo? Mi hai detto infatti che Dio sarà con me e prenderà dimora nel mio grembo: ma, dimmi, come potrò divenire ampio spazio e luogo di santità per colui che cavalca i cherubini? Non trarmi in inganno: non ho conosciuto piacere, sono estranea a nozze, come dunque partorirò un figlio?” Risposta di Maria diventa professione di fede della stessa Chiesa nell’incarnazione del Verbo di Dio. Il terzo tropario del vespro quindi riprende sia la risposta dell'arcangelo sia l’assenso della Madre di Dio: “Quando Dio vuole, l=ordine della natura è superato, rispose l=incorporeo, e si opera ciò che oltrepassa l=uomo. Credi alle mie veraci parole, o santissima più che immacolata. Ed essa esclamò: Mi avvenga dunque, secondo la tua parola, e io partorirò colui che non ha carne, che da me prenderà la carne per ricondurre l=uomo, grazie a questa unione, alla dignità antica: egli è il solo potente”. Notiamo la bella espressione cristologica messa nelle labbra di Maria: “colui che non ha carne… da me prende carne…”.
            L’ultimo dei tropari della prima parte del vespro mette in bocca dell'’arcangelo la meditazione dell'incarnazione del Verbo di Dio a partire da immagini quasi opposte l’una all’altra e prese tutte da testi veterotestamentari: “Fu mandato dal cielo l=arcangelo Gabriele ad annunciare alla Vergine il concepimento. Giunto a Nazaret, rifletteva in se stesso sul prodigio e ne era sbigottito: Dunque l=inafferrabile che è nel più alto dei cieli nasce da una vergine! Colui che ha il cielo per trono e la terra come sgabello si rinchiude nel grembo di una donna! Colui che i serafini dalle sei ali e i cherubini dai molti occhi non possono fissare, si compiace di incarnarsi da lei in virtú della sola parola. Colui che qui è presente è il Verbo di Dio. Che attendo dunque, perché non parlo alla fanciulla? Gioisci, piena di grazia, il Signore è con te; gioisci, Vergine pura; gioisci sposa senza nozze; gioisci, Madre della vita…”.
            Ancora dell'’ufficiatura del vespro abbiamo l’ultimo dei tropari, opera di sant’Andrea di Creta (VII-VIII sec.), e che diventa una lunga contemplazione della icona stessa della festa, collegandola con tutta l’economia di Dio nel suo amore verso l’uomo, da Adamo fino al Verbo incarnato. In primo luogo troviamo il tema della liberazione di Adamo ed Eva, che a sua volta un preannuncio della vittoria pasquale di Cristo stesso: “Adamo è rinnovato; Eva è liberata dalla tristezza di prima…”. Poi il tema della divinizzazione dell'’uomo: “…la dimora della nostra stessa sostanza, deificata da ciò che ha concepito, è divenuta tempio di Dio. O mistero! Ignoto il modo del divino annientamento, ineffabile il modo del concepimento…”. Quindi la professione di fede trinitaria; l’Incarnazione del Verbo coinvolge tutta la Trinità, presente nell’icona attraverso il triplice raggio che scende dall’alto: “Le realtà della terra si congiungono a quelle del cielo… Un angelo è ministro del prodigio; un grembo verginale accoglie il Figlio; lo Spirito Santo viene inviato; il Padre dall=alto esprime il suo beneplacito, e si opera questo incontro per il loro comune volere…”. La natura umana, assunta dal Verbo nella sua incarnazione, viene innalzata e salvata: “In esso e per esso salvàti, ad una sola voce con Gabriele, acclamiamo alla Vergine: Gioisci, o piena di grazia dalla quale ci viene la salvezza, Cristo Dio nostro che, assunta la nostra natura, a sé l=ha innalzata…”.
P. Manuel Nin
Pontificio Collegio Greco
Roma


Colui che non ha carne prende carne da Maria

di Manuel Nin

La festa dell’Annunciazione della Santissima Madre di Dio e sempre vergine Maria, ha il suo fondamento biblico nei Vangeli, specialmente in quello di Luca, ed è l’unica grande festa che troviamo lungo la Quaresima nella tradizione bizantina. Si tratta di un’antica festa cristiana, introdotta in ambito costantinopolitano attorno al 530. L’icona della festa è molto semplice e si potrebbe dire essenziale; contiene i due personaggi della narrazione evangelica: l’arcangelo Gabriele in atteggiamento annunziante, recando nelle mani uno scettro regale, e la vergine Maria in atteggiamento accogliente della parola dell’arcangelo, del Verbo di Dio, con una o le due mani alzate in gesto di preghiera. Dall’alto dell’icona al centro un raggio che si triplica con una colomba al centro scendendo su Maria indica la forza di Dio che la copre con la sua ombra.
L’iconografia del 25 marzo viene cantata dalla stessa innografia liturgica della festa. Tutti i tropari sono quasi dei dialoghi tra l’arcangelo Gabriele e Maria. Soprattutto nei tre primi tropari dell’ufficiatura del vespro troviamo come una lettura liturgica dell’iconografia della festa. Nel primo dei tropari l’arcangelo saluta la vergine con sette “gioisci” che introducono tutta una serie di temi cristologici presi da immagini dell’Antico Testamento: «Per rivelarti l’eterno consiglio, si presentò Gabriele, o Vergine, salutandoti e così parlando: Gioisci, terra non seminata; gioisci, roveto incombusto; gioisci, abisso imperscrutabile; gioisci, ponte che fa passare ai cieli e scala elevata contemplata da Giacobbe; gioisci, divina urna della manna; gioisci, liberazione dalla maledizione; gioisci, ritorno di Adamo dall’esilio». Tutta una serie di immagini che troviamo poi più sviluppate nell’inno Akathistos, collegato anch’esso alla festa dell’Annunciazione. La presenza unica di Gabriele nell’indirizzarsi, nel parlare alla vergine, viene contrastata dal secondo dei tropari dove si sviluppa la risposta di Maria; manifesta lo stupore davanti alle parole di colui, l’arcangelo, che gli appare sotto forma quasi umana. Maria stessa applica a se stessa le immagini prese dai salmi e che vengono applicate al mistero dell’incarnazione del Verbo di Dio: «Mi appari come uomo, disse la Vergine incorrotta al principe dell’esercito celeste: come dunque pronunci parole che oltrepassano l’uomo? Mi hai detto infatti che Dio sarà con me e prenderà dimora nel mio grembo: ma, dimmi, come potrò divenire ampio spazio e luogo di santità per colui che cavalca i cherubini? Non trarmi in inganno: non ho conosciuto piacere, sono estranea a nozze, come dunque partorirò un figlio?».
La risposta di Maria diventa professione di fede della stessa Chiesa nell’incarnazione del Verbo di Dio. Il terzo tropario del vespro quindi riprende sia la risposta dell’arcangelo sia l’assenso della Madre di Dio: «Quando Dio vuole, l’ordine della natura è superato, rispose l’incorporeo, e si opera ciò che oltrepassa l’uomo. Credi alle mie veraci parole, o santissima più che immacolata. Ed essa esclamò: Mi avvenga dunque, secondo la tua parola, e io partorirò colui che non ha carne, che da me prenderà la carne per ricondurre l’uomo, grazie a questa unione, alla dignità antica: egli è il solo potente». Notiamo la bella espressione cristologica messa nelle labbra di Maria: «colui che non ha carne (...) da me prende carne».
L’ultimo dei tropari della prima parte del vespro mette in bocca dell’arcangelo la meditazione dell’incarnazione del Verbo di Dio a partire da immagini quasi opposte l’una all’altra e prese tutte da testi veterotestamentari: «Fu mandato dal cielo l’arcangelo Gabriele ad annunciare alla Vergine il concepimento. Giunto a Nazaret, rifletteva in se stesso sul prodigio e ne era sbigottito: Dunque l’inafferrabile che è nel più alto dei cieli nasce da una vergine! Colui che ha il cielo per trono e la terra come sgabello si rinchiude nel grembo di una donna! Colui che i serafini dalle sei ali e i cherubini dai molti occhi non possono fissare, si compiace di incarnarsi da lei in virtú della sola parola. Colui che qui è presente è il Verbo di Dio. Che attendo dunque, perché non parlo alla fanciulla? Gioisci, piena di grazia, il Signore è con te; gioisci, Vergine pura; gioisci sposa senza nozze; gioisci, Madre della vita».
Ancora dell’ufficiatura del vespro abbiamo l’ultimo dei tropari, opera di sant’Andrea di Creta (VII-VIII secolo), e che diventa una lunga contemplazione della icona stessa della festa, collegandola con tutta l’economia di Dio nel suo amore verso l’uomo, da Adamo fino al Verbo incarnato. In primo luogo troviamo il tema della liberazione di Adamo ed Eva che, a sua volta, è un preannuncio della vittoria pasquale di Cristo stesso: «Adamo è rinnovato; Eva è liberata dalla tristezza di prima». Poi il tema della divinizzazione dell’’uomo: «la dimora della nostra stessa sostanza, deificata da ciò che ha concepito, è divenuta tempio di Dio. O mistero! Ignoto il modo del divino annientamento, ineffabile il modo del concepimento». Quindi la professione di fede trinitaria; l’Incarnazione del Verbo coinvolge tutta la Trinità, presente nell’icona attraverso il triplice raggio che scende dall’alto: «Le realtà della terra si congiungono a quelle del cielo (...) Un angelo è ministro del prodigio; un grembo verginale accoglie il Figlio; lo Spirito Santo viene inviato; il Padre dall’alto esprime il suo beneplacito, e si opera questo incontro per il loro comune volere». La natura umana, assunta dal Verbo nella sua incarnazione, viene innalzata e salvata: «In esso e per esso salvàti, ad una sola voce con Gabriele, acclamiamo alla Vergine: Gioisci, o piena di grazia dalla quale ci viene la salvezza, Cristo Dio nostro che, assunta la nostra natura, a sé l’ha innalzata».
P. Manuel Nin
Pontificio Collegio Greco
Roma