domingo, 17 de septiembre de 2017

La festa del Natale nel canone di Cosma di Maiouma
Oggi la Vergine estingue la sete di Adamo.
            L’ufficiatura bizantina del 25 dicembre raccoglie nei tropari la testimonianza di diversi innografi bizantini: Romano il Melodo (VI sec.), Germano di Costantinopoli (VIII sec.), Cosma di Maiouma (VII-VIII secc.), e la monaca innografa Cassianì (IX sec.). Il canone del mattutino della festa è di Cosma di Maiouma, innografo bizantino nato a Damasco verso il 675, vescovo di Maiouma a Gaza nel 734 e morto il 752. Fratello adottivo di Giovanni Damasceno, con lui fu strenuo difensore della venerazione delle icone; come innografo si colloca nella scia di Gregorio di Nazianzo e Romano il Melodo. Le nove odi del canone contemplano il mistero del Verbo di Dio incarnato che nasce nella carne dalla vergine Maria. Il primo tropario di ognuna delle odi raccoglie i diversi temi teologici legati alla festa del Natale, prendendo spunto dal cantico dell'Antico Testamento previsto per ognuna delle parti: l’incarnazione del Verbo di Dio, la sua discesa –umiliazione- tra gli uomini, la verginità di Maria: “Cristo nasce, rendete gloria; Cristo scende dai cieli, anda­tegli incontro; Cristo è sulla terra, elevatevi… Al Figlio che prima dei secoli immutabilmente dal Padre è stato generato, e negli ultimi tempi dalla Ver­gine, senza seme, si è incarnato, al Cristo Dio acclamiamo… Virgulto dalla radice di Iesse, e fiore che da essa proce­de, o Cristo, dalla Vergine sei ger­mo­glia­to dal boscoso monte adombrato, o degno di lo­de: sei venuto incar­nato da una Vergine ignara d’uomo, tu, immateriale e Dio”.
            La nascita di Cristo, Cosma la canta come una nuova creazione, un riplasmare nell’uomo la bellezza della prima immagine: “Colui che, fatto a immagine di Dio, era perito per la tra­sgressione, divenendo del tutto preda della cor­ru­zione, decaduto dalle altezze della vita divina, il sa­pien­te Artefice di nuovo lo plasma… Il Creatore, vedendo perdersi l’uomo che con le sue mani aveva fatto, piegati i cieli, discende, e ne assume tutta la so­stanza dalla divina Vergine pura, prendendo veramente carne… Il Cristo Dio, sapienza, Verbo, potenza, Figlio e splen­dore del Padre, fatto uomo ci ha ria­c­quistati…”. Lo stesso tema lo ritroviamo nella quarta delle odi, dove l’innografo prende spunto dal cantico del capitolo terzo del libro di Abacuc con l’immagine del boscoso monte adombrato che la tradizione cristiana ha interpretato come prefigurazione dell'incarnazione del Verbo e della sua nascita dalla Vergine: “Il profeta Abacuc, con i suoi canti, prediceva un tempo la riplasmazione della stirpe umana, fatto degno di vederla in figura, ineffabilmente. Come bimbo neonato è u­sci­to infatti il Verbo dalla montagna della Vergine per riplasmare i popoli”.
            Il poema, con una professione di fede cristologica chiaramente calcedoniana, sottolinea come Cristo nella sua nascita si fa simile ad Adamo, partecipando pienamente alla natura umana, per portarla alla comunione con la natura divina: “L’Adamo fatto di terra, che aveva partecipato di quel soffio superiore, ma era caduto nella corruzione, sedotto dalla donna, scorgendo il Cristo nato di donna, grida: O tu che per me sei divenuto come me, santo tu sei, Signore. Tu che ti sei reso simile a un vile oggetto di fango, o Cristo; tu che, partecipando della realtà inferiore della carne, ci hai dato di comunicare alla divina natura, divenendo uomo e rimanendo Dio…”. Notiamo anche il parallelo che il testo fa tra Adamo sedotto dalla donna e Cristo nato da donna. L’invocazione di Adamo: “O tu che per me sei divenuto come me…”, la ritroviamo molto simile in uno dei tropari della festa dell'Ascensione del Signore: “O tu che per me come me ti sei fatto povero…”, quasi a mettere in parallelo la sua Nascita (discesa sulla terra) e la sua Ascensione (salita in cielo).
            Nella sesta ode Cosma sviluppa il suo canto a partire del cantico del capitolo 2 del libro di Giona. Il profeta nel ventre del mostro marino è tipo e figura di tutta l’economia di Cristo, dalla sua nascita alla sua risurrezione: “Il mostro marino, dalle sue viscere, ha espulso come embrione Giona, quale lo aveva ricevuto; il Verbo, dopo aver dimorato nella Vergine e avere assunto la carne, da lei è uscito, custodendola incorrotta… È venuto incarnato, il Cristo Dio nostro, che il Padre genera prima della stella del mattino; colui che tiene le re­dini delle potenze immacolate, è deposto nella man­gia­toia… Il Figlio è stato partorito come un neonato dall’argilla di Adamo, ed è stato dato ai fedeli. Egli è padre e principe del secolo futuro, ed è chiamato an­gelo del gran consiglio…”.
            Sempre partendo dall’immagine che trova nel cantico biblico del profeta Daniele, Cosma nell’ode settima accosta i tre fanciulli nella fornace con i pastori, tutti loro attorniati dalla gloria di Dio: “I fanciulli allevati nella pietà, disprezzando un empio comando, non si lasciarono atterrire dalla minaccia del fuoco, ma stando tra le fiamme cantavano: O Dio dei padri, tu sei benedetto… I pastori che vegliavano nei campi ricevettero una luminosa visione che li lasciò sbigottiti: la gloria di Dio ri­fulse intorno a loro, e un angelo gridava: Inneggiate, per­ché il Cristo è nato… Che discorso è questo?, si dissero i pastori; andiamo a vedere l’evento, il Cristo divino…”.
            Nell’ode nona, prendendo spunto dalla prima frase dal cantico della Madre di Dio nel vangelo di Luca, Cosma per sette volte canta il mistero dell'’Incarnazione del Verbo di Dio: “Magnifica, anima mia, colei che è più venerabile e gloriosa delle superne schiere… Magnifica, anima mia, il Dio che nella carne dalla Ver­gine è stato partorito…. Magnifica, anima mia, il Re partorito nella grotta… Magnifica, anima mia, il Dio adorato dai magi… Magnifica, anima mia, la forza della Divinità… Magnifica, anima mia, colei che ci ha riscattati dalla ma­ledizione… Magnifica, anima mia, colei che è più venerabile e gloriosa delle superne schiere”.
            Tra la sesta e la settima delle odi troviamo l’inserzione di due tropari di Romano il Melodo; nel secondo, con delle immagini prese dall’Antico Testamento, il poeta canta con sublime bellezza il mistero della nascita verginale di Cristo: “Betlemme ha aperto l’Eden, venite a vedere: troviamo nel nascondimento le delizie; venite, rice­viamo nella grotta le gioie del paradiso. Là è apparsa la radice non innaffiata che fa germogliare il perdono; là si è trovato il pozzo da nes­suno scavato, a cui Davide un tempo aveva desiderato bere: là è la Vergine che, partorito il bambino, ha súbito estinto la sete di Adamo e di Davide: affrettiamoci dunque al luogo dove è stato partorito piccolo bimbo, il Dio che è pri­ma dei secoli”.

P. Manuel Nin
Pontificio Collegio Greco
Roma




Oggi la Vergine
estingue la sete di Adamo
di MANUEL NIN
Nell'ufficiatura bizantina del Natale sono raccolti tropari di diversi innografi tra VI e IX secolo. Il canone del mattutino è di Cosma, nato a Damasco verso il 675, vescovo di Maiouma a Gaza dal 734 e morto nel 752. Fratello adottivo di Giovanni Damasceno, con lui fu strenuo difensore della venerazione delle icone. Le nove odi del canone contemplano il mistero del Verbo di Dio che nasce nella carne dalla vergine Maria. Il primo tropario presenta i temi teologici del Natale: "Cristo nasce, rendete gloria; Cristo scende dai cieli, andategli incontro; Cristo è sulla terra, elevatevi. Al Figlio che prima dei secoli immutabilmente dal Padre è stato generato, e negli ultimi tempi dalla Vergine, senza seme, si è incarnato, al Cristo Dio acclamiamo. Virgulto dalla radice di Iesse, e fiore che da essa procede, o Cristo, dalla Vergine sei germogliato dal boscoso monte adombrato, o degno di lode: sei venuto incarnato da una Vergine ignara d'uomo, tu, immateriale e Dio".Cosma canta la nascita di Cristo come nuova creazione: "Colui che, fatto a immagine di Dio, era perito per la trasgressione, divenendo del tutto preda della corruzione, decaduto dalle altezze della vita divina, il sapiente artefice di nuovo lo plasma. Il Creatore, vedendo perdersi l'uomo che con le sue mani aveva fatto, piegati i cieli, discende, e ne assume tutta la sostanza dalla divina Vergine pura, prendendo veramente carne".

Il poema sottolinea come Cristo nella sua nascita si fa simile ad Adamo, partecipando pienamente alla natura umana, per portarla alla comunione con la natura divina: "L'Adamo fatto di terra, che aveva partecipato di quel soffio superiore, ma era caduto nella corruzione, sedotto dalla donna, scorgendo il Cristo nato di donna, grida: O tu che per me sei divenuto come me, santo tu sei, Signore". Il testo mette in parallelo Adamo sedotto dalla donna e Cristo nato da donna, e l'invocazione di Adamo si ritrova molto simile in un tropario dell'Ascensione del Signore ("o tu che per me come me ti sei fatto povero"), collegando la sua discesa sulla terra alla sua ascensione.
Nella sesta ode Cosma evoca Giona, figura di tutta l'economia di Cristo, dalla nascita alla risurrezione: "Il mostro marino, dalle sue viscere, ha espulso come embrione Giona, quale lo aveva ricevuto; il Verbo, dopo aver dimorato nella Vergine e avere assunto la carne, da lei è uscito, custodendola incorrotta. È venuto incarnato, il Cristo Dio nostro, che il Padre genera prima della stella del mattino; colui che tiene le redini delle potenze immacolate, è deposto nella mangiatoia. Il Figlio è stato partorito come un neonato dall'argilla di Adamo, ed è stato dato ai fedeli. Egli è padre e principe del secolo futuro, ed è chiamato angelo del gran consiglio".
Sulla base del libro di Daniele, Cosma nell'ode settima accosta i tre fanciulli nella fornace ai pastori di Betlemme: "I fanciulli allevati nella pietà, disprezzando un empio comando, non si lasciarono atterrire dalla minaccia del fuoco, ma stando tra le fiamme cantavano: O Dio dei padri, tu sei benedetto. I pastori che vegliavano nei campi ricevettero una luminosa visione che li lasciò sbigottiti: la gloria di Dio rifulse intorno a loro, e un angelo gridava: Inneggiate, perché il Cristo è nato. Che discorso è questo, si dissero i pastori; andiamo a vedere l'evento, il Cristo divino".
Nell'ode nona, prendendo spunto dal cantico della Madre di Dio nel vangelo di Luca, Cosma per sette volte canta il mistero dell'incarnazione: "Magnifica, anima mia, colei che è più venerabile e gloriosa delle superne schiere. Magnifica, anima mia, il Dio che nella carne dalla Vergine è stato partorito. Magnifica, anima mia, il re partorito nella grotta. Magnifica, anima mia, il Dio adorato dai magi. Magnifica, anima mia, la forza della divinità. Magnifica, anima mia, colei che ci ha riscattati dalla maledizione. Magnifica, anima mia, colei che è più venerabile e gloriosa delle superne schiere".
Infine, in un tropario di Romano il Melodo, con immagini prese dall'Antico Testamento, il poeta canta il mistero della nascita verginale di Cristo: "Betlemme ha aperto l'Eden, venite a vedere: troviamo nel nascondimento le delizie; venite, riceviamo nella grotta le gioie del paradiso. Là è apparsa la radice non innaffiata che fa germogliare il perdono; là si è trovato il pozzo da nessuno scavato, a cui Davide un tempo aveva desiderato bere: là è la Vergine che, partorito il bambino, ha subito estinto la sete di Adamo e di Davide: affrettiamoci dunque al luogo dove è stato partorito, piccolo bimbo, il Dio che è prima dei secoli".
P. Manuel Nin
Pontificio Collegio Greco
Roma
(©L'Osservatore Romano 25 dicembre 2011)