La festa del Natale nel canone di Cosma
di Maiouma
Oggi la Vergine estingue la sete di
Adamo.
L’ufficiatura bizantina del 25
dicembre raccoglie nei tropari la testimonianza di diversi innografi bizantini:
Romano il Melodo (VI sec.), Germano di Costantinopoli (VIII sec.), Cosma di
Maiouma (VII-VIII secc.), e la monaca innografa Cassianì (IX sec.). Il canone
del mattutino della festa è di Cosma di Maiouma, innografo bizantino nato a
Damasco verso il 675, vescovo di Maiouma a Gaza nel 734 e morto il 752. Fratello
adottivo di Giovanni Damasceno, con lui fu strenuo difensore della venerazione
delle icone; come innografo si colloca nella scia di Gregorio di Nazianzo e
Romano il Melodo. Le nove odi del canone contemplano il mistero del Verbo di
Dio incarnato che nasce nella carne dalla vergine Maria. Il primo tropario di
ognuna delle odi raccoglie i diversi temi teologici legati alla festa del
Natale, prendendo spunto dal cantico dell'Antico Testamento previsto per ognuna
delle parti: l’incarnazione del Verbo di Dio, la sua discesa –umiliazione- tra
gli uomini, la verginità di Maria: “Cristo nasce, rendete gloria; Cristo scende
dai cieli, andategli incontro; Cristo è sulla terra, elevatevi… Al Figlio che
prima dei secoli immutabilmente dal Padre è stato generato, e negli ultimi
tempi dalla Vergine, senza seme, si è incarnato, al Cristo Dio acclamiamo… Virgulto
dalla radice di Iesse, e fiore che da essa procede, o Cristo, dalla Vergine
sei germogliato dal boscoso monte adombrato, o degno di lode: sei venuto
incarnato da una Vergine ignara d’uomo, tu, immateriale e Dio”.
La nascita di Cristo, Cosma la canta
come una nuova creazione, un riplasmare nell’uomo la bellezza della prima
immagine: “Colui che, fatto a immagine di Dio, era perito per la trasgressione,
divenendo del tutto preda della corruzione, decaduto dalle altezze della vita
divina, il sapiente Artefice di nuovo lo plasma… Il Creatore, vedendo
perdersi l’uomo che con le sue mani aveva fatto, piegati i cieli, discende, e
ne assume tutta la sostanza dalla divina Vergine pura, prendendo veramente
carne… Il Cristo Dio, sapienza, Verbo, potenza, Figlio e splendore del Padre,
fatto uomo ci ha riacquistati…”. Lo stesso tema lo ritroviamo nella quarta
delle odi, dove l’innografo prende spunto dal cantico del capitolo terzo del
libro di Abacuc con l’immagine del boscoso monte adombrato che la tradizione
cristiana ha interpretato come prefigurazione dell'incarnazione del Verbo e
della sua nascita dalla Vergine: “Il profeta Abacuc, con i suoi canti, prediceva
un tempo la riplasmazione della stirpe umana, fatto degno di vederla in figura,
ineffabilmente. Come bimbo neonato è uscito infatti il Verbo dalla montagna
della Vergine per riplasmare i popoli”.
Il poema, con una professione di
fede cristologica chiaramente calcedoniana, sottolinea come Cristo nella sua
nascita si fa simile ad Adamo, partecipando pienamente alla natura umana, per
portarla alla comunione con la natura divina: “L’Adamo fatto di terra, che
aveva partecipato di quel soffio superiore, ma era caduto nella corruzione,
sedotto dalla donna, scorgendo il Cristo nato di donna, grida: O tu che per me
sei divenuto come me, santo tu sei, Signore. Tu che ti sei reso simile a un
vile oggetto di fango, o Cristo; tu che, partecipando della realtà inferiore
della carne, ci hai dato di comunicare alla divina natura, divenendo uomo e
rimanendo Dio…”. Notiamo anche il parallelo che il testo fa tra Adamo sedotto
dalla donna e Cristo nato da donna. L’invocazione di Adamo: “O tu che per me
sei divenuto come me…”, la ritroviamo molto simile in uno dei tropari della
festa dell'Ascensione del Signore: “O tu che per me
come me ti sei fatto povero…”, quasi a mettere in parallelo la sua
Nascita (discesa sulla terra) e la sua Ascensione (salita in cielo).
Nella sesta ode Cosma sviluppa il
suo canto a partire del cantico del capitolo 2 del libro di Giona. Il profeta
nel ventre del mostro marino è tipo e figura di tutta l’economia di Cristo,
dalla sua nascita alla sua risurrezione: “Il mostro marino, dalle sue viscere,
ha espulso come embrione Giona, quale lo aveva ricevuto; il Verbo, dopo aver
dimorato nella Vergine e avere assunto la carne, da lei è uscito, custodendola
incorrotta… È venuto incarnato, il Cristo Dio nostro, che il Padre genera prima
della stella del mattino; colui che tiene le redini delle potenze immacolate,
è deposto nella mangiatoia… Il Figlio è stato partorito come un neonato
dall’argilla di Adamo, ed è stato dato ai fedeli. Egli è padre e principe del
secolo futuro, ed è chiamato angelo del gran consiglio…”.
Sempre partendo dall’immagine che
trova nel cantico biblico del profeta Daniele, Cosma nell’ode settima accosta i
tre fanciulli nella fornace con i pastori, tutti loro attorniati dalla gloria
di Dio: “I fanciulli allevati nella pietà, disprezzando un empio comando, non
si lasciarono atterrire dalla minaccia del fuoco, ma stando tra le fiamme
cantavano: O Dio dei padri, tu sei benedetto… I pastori che vegliavano nei
campi ricevettero una luminosa visione che li lasciò sbigottiti: la gloria di
Dio rifulse intorno a loro, e un angelo gridava: Inneggiate, perché il Cristo
è nato… Che discorso è questo?, si dissero i pastori; andiamo a vedere l’evento,
il Cristo divino…”.
Nell’ode nona, prendendo spunto
dalla prima frase dal cantico della Madre di Dio nel vangelo di Luca, Cosma per
sette volte canta il mistero dell'’Incarnazione del Verbo di Dio: “Magnifica,
anima mia, colei che è più venerabile e gloriosa delle superne schiere… Magnifica,
anima mia, il Dio che nella carne dalla Vergine è stato partorito…. Magnifica,
anima mia, il Re partorito nella grotta… Magnifica, anima mia, il Dio adorato
dai magi… Magnifica, anima mia, la forza della Divinità… Magnifica, anima mia,
colei che ci ha riscattati dalla maledizione… Magnifica, anima mia, colei che
è più venerabile e gloriosa delle superne schiere”.
Tra la sesta e la settima delle odi
troviamo l’inserzione di due tropari di Romano il Melodo; nel secondo, con
delle immagini prese dall’Antico Testamento, il poeta canta con sublime
bellezza il mistero della nascita verginale di Cristo: “Betlemme ha aperto
l’Eden, venite a vedere: troviamo nel nascondimento le delizie; venite, riceviamo
nella grotta le gioie del paradiso. Là è apparsa la radice non innaffiata che
fa germogliare il perdono; là si è trovato il pozzo da nessuno scavato, a cui
Davide un tempo aveva desiderato bere: là è la Vergine che, partorito il
bambino, ha súbito estinto la sete di Adamo e di Davide: affrettiamoci dunque
al luogo dove è stato partorito piccolo bimbo, il Dio che è prima dei secoli”.
P.
Manuel Nin
Pontificio
Collegio Greco
Roma
Oggi la Vergine
estingue la sete di Adamo
estingue la sete di Adamo
di
MANUEL NIN
Nell'ufficiatura
bizantina del Natale sono raccolti tropari di diversi innografi tra VI e IX
secolo. Il canone del mattutino è di Cosma, nato a Damasco verso il 675,
vescovo di Maiouma a Gaza dal 734 e morto nel 752. Fratello adottivo di
Giovanni Damasceno, con lui fu strenuo difensore della venerazione delle icone.
Le nove odi del canone contemplano il mistero del Verbo di Dio che nasce nella
carne dalla vergine Maria. Il primo tropario presenta i temi teologici del
Natale: "Cristo nasce, rendete gloria; Cristo scende dai cieli, andategli
incontro; Cristo è sulla terra, elevatevi. Al Figlio che prima dei secoli
immutabilmente dal Padre è stato generato, e negli ultimi tempi dalla Vergine,
senza seme, si è incarnato, al Cristo Dio acclamiamo. Virgulto dalla radice di
Iesse, e fiore che da essa procede, o Cristo, dalla Vergine sei germogliato dal
boscoso monte adombrato, o degno di lode: sei venuto incarnato da una Vergine
ignara d'uomo, tu, immateriale e Dio".Cosma
canta la nascita di Cristo come nuova creazione: "Colui che, fatto a
immagine di Dio, era perito per la trasgressione, divenendo del tutto preda
della corruzione, decaduto dalle altezze della vita divina, il sapiente
artefice di nuovo lo plasma. Il Creatore, vedendo perdersi l'uomo che con le
sue mani aveva fatto, piegati i cieli, discende, e ne assume tutta la sostanza
dalla divina Vergine pura, prendendo veramente carne".
Il poema sottolinea come Cristo nella sua nascita si fa simile ad Adamo, partecipando pienamente alla natura umana, per portarla alla comunione con la natura divina: "L'Adamo fatto di terra, che aveva partecipato di quel soffio superiore, ma era caduto nella corruzione, sedotto dalla donna, scorgendo il Cristo nato di donna, grida: O tu che per me sei divenuto come me, santo tu sei, Signore". Il testo mette in parallelo Adamo sedotto dalla donna e Cristo nato da donna, e l'invocazione di Adamo si ritrova molto simile in un tropario dell'Ascensione del Signore ("o tu che per me come me ti sei fatto povero"), collegando la sua discesa sulla terra alla sua ascensione.
Nella sesta ode Cosma evoca Giona, figura di tutta l'economia di Cristo, dalla nascita alla risurrezione: "Il mostro marino, dalle sue viscere, ha espulso come embrione Giona, quale lo aveva ricevuto; il Verbo, dopo aver dimorato nella Vergine e avere assunto la carne, da lei è uscito, custodendola incorrotta. È venuto incarnato, il Cristo Dio nostro, che il Padre genera prima della stella del mattino; colui che tiene le redini delle potenze immacolate, è deposto nella mangiatoia. Il Figlio è stato partorito come un neonato dall'argilla di Adamo, ed è stato dato ai fedeli. Egli è padre e principe del secolo futuro, ed è chiamato angelo del gran consiglio".
Sulla base del libro di Daniele, Cosma nell'ode settima accosta i tre fanciulli nella fornace ai pastori di Betlemme: "I fanciulli allevati nella pietà, disprezzando un empio comando, non si lasciarono atterrire dalla minaccia del fuoco, ma stando tra le fiamme cantavano: O Dio dei padri, tu sei benedetto. I pastori che vegliavano nei campi ricevettero una luminosa visione che li lasciò sbigottiti: la gloria di Dio rifulse intorno a loro, e un angelo gridava: Inneggiate, perché il Cristo è nato. Che discorso è questo, si dissero i pastori; andiamo a vedere l'evento, il Cristo divino".
Nell'ode nona, prendendo spunto dal cantico della Madre di Dio nel vangelo di Luca, Cosma per sette volte canta il mistero dell'incarnazione: "Magnifica, anima mia, colei che è più venerabile e gloriosa delle superne schiere. Magnifica, anima mia, il Dio che nella carne dalla Vergine è stato partorito. Magnifica, anima mia, il re partorito nella grotta. Magnifica, anima mia, il Dio adorato dai magi. Magnifica, anima mia, la forza della divinità. Magnifica, anima mia, colei che ci ha riscattati dalla maledizione. Magnifica, anima mia, colei che è più venerabile e gloriosa delle superne schiere".
Infine, in un tropario di Romano il Melodo, con immagini prese dall'Antico Testamento, il poeta canta il mistero della nascita verginale di Cristo: "Betlemme ha aperto l'Eden, venite a vedere: troviamo nel nascondimento le delizie; venite, riceviamo nella grotta le gioie del paradiso. Là è apparsa la radice non innaffiata che fa germogliare il perdono; là si è trovato il pozzo da nessuno scavato, a cui Davide un tempo aveva desiderato bere: là è la Vergine che, partorito il bambino, ha subito estinto la sete di Adamo e di Davide: affrettiamoci dunque al luogo dove è stato partorito, piccolo bimbo, il Dio che è prima dei secoli".
P. Manuel Nin
Pontificio Collegio Greco
Roma
(©L'Osservatore Romano 25 dicembre 2011)