viernes, 14 de julio de 2017

Oggi le lacrime degli uomini commuovono l’Amico degli uomini…
L’innografia di Romano il Melodo per la festa del profeta Elia
            Le liturgie cristiane di Oriente e di Occidente celebrano il giorno 20 luglio la festa del profeta Elia il Tesbita. La liturgia bizantina ce lo presenta come il grande intercessore per il popolo, l'uomo pieno di zelo per il Signore. Romano il Melodo ha un kontakion dedicato al profeta Elia, formato da ben 33 strofe; le due prime strofe di questo testo sono entrate inoltre nell’ufficiatura del mattutino della tradizione bizantina . Lungo tutto il poema, Romano snoda un dialogo –si direbbe quasi la lotta in alcune delle strofe- tra la misericordia e la magnanimità di Dio verso il popolo peccatore da una parte e lo zelo e l’ira di Elia nei confronti di costui dall’altra. “Dio, il solo amico degli uomini” sarà il ritornello che concluderà ognuna delle 33 strofe del poema.
È la prima strofa del testo che riassume il contenuto di tutto il testo: “Vedendo le molte trasgressioni degli uomini  e il grande amore di Dio per loro, Elia fu sconvolto dall’ira e al Pietoso rivolse parole senza pietà: «Fa’ sentire la tua collera a quanti ora ti offendono, giudice giusto!» Ma non poté indurre in alcun modo la misericordia del Buono a punire quelli che lo offendevano, perché sempre attende il ravvedimento di tutti, il solo amico degli uomini”. Di fronte alla pazienza di Dio, il profeta quindi decide di agire per conto proprio; addirittura sa che Dio è “facile” a commuovere, e cerca di impegnarlo con un giuramento. Toccanti sono le espressioni che Romano mette in bocca del profeta che sa di conoscere la magnanimità di Dio: “Vedendo il profeta tutta la terra nell’empietà e l’Altissimo che sopportava e non si adirava, si infuriò e dichiarò all’Altissimo: «Agirò io d’autorità e punirò quelli che ti offendono… essi non si danno pensiero della tua grande pazienza, Padre misericordioso! Ora farò io da giudice per conto del Creatore… Ma mi preoccupa la divina indulgenza: per commuovere l’amico degli uomini bastano poche lacrime! Fermerò la sua pietà rafforzando la decisione con un giuramento…»”. Romano, lungo tutto il poema, sottolineerà questo quasi scontro tra lo zelo del profeta Elia: “il Giusto, rispettando il giuramento, non cancellerà il suo decreto…”, e la magnanimità di Dio: “Se vedrò sgorgare pentimento e lacrime, non potrò non elargire agli uomini la mia pietà, io, il solo amico degli uomini”.
            Il dilemma, quasi l’imbarazzo di Dio tra misericordia e giustizia lo porta a far sperimentare anche al profeta stesso la fame e la sete del popolo punito: “…gli abitanti della terra deperivano gemendo e tendendo le mani al misericordioso. E Lui era in preda a un dilemma: desideroso di aprire il suo cuore a coloro che lo invocavano e di cedere alla pietà, ma provando vergogna per il profeta e per il giuramento da lui fatto”. Romano mette in luce come Elia riesce a vincere la fame e la sete a cui Dio stesso lo sottopone, perché il suo zelo e la stessa ira verso il popolo diventano per lui quasi un nutrimento: “Il tesbita era gonfio d’ira contro i suoi simili… e come pietra insensibile resisteva la fame, perché in luogo del cibo si nutriva del suo fermo proposito”. Le strofe 10 ed 11 del poema costituiscono uno dei momenti più forti dello scontro tra Dio ed il profeta: “Dio disse ad Elia: «La tua grande devozione per me, non deve provocare in te verso gli uomini un sentimento cattivo… Io onoro la tua amicizia e non annullo il tuo decreto, ma non riesco a sostenere il pianto e l’angoscia di tutti gli uomini che ho creato!» Ed Elia rispose al Signore: «Preferisco morire di fame, o Santissimo! Se solo riuscirò a punire gli empi, sarà per me un gran sollievo… perciò non avere pietà di me… ma soltanto stermina gli empi sulla terra»”.
            Romano il Melodo dedica quindi dieci strofe all’incontro di Elia con la vedova di Sarepta, donna straniera con un figlio. Essa muove il profeta alla misericordia verso di lei, malgrado essere pagana, ma non verso il popolo: “Nei confronti di tutti gli altri sono stato insensibile, ma nei confronti di costei mi trasformerò: abituerò la mia natura a rallegrarsi delle opere di misericordia…”. Con delle immagini molto belle, Romano presenta la morte del figlio della vedova come una pedagogia di Dio stesso per portare Elia alla compassione verso il suo popolo: “«Io credo, O Salvatore», disse Elia, «che la morte di questo ragazzo sia un espediente della tua saggezza… per costringermi alla misericordia. Così quando io ti chiederò: “Risuscita il figlio della vedova che è morto”, tu subito risponderai: “Abbi pietà del mio figlio Israele…”». La risposta di Dio al profeta diventa un annuncio della sua misericordia, della sua magnificenza, una buona novella al profeta e a tutti gli uomini: “Il Misericordioso rispose ad Elia: «Ora presta orecchio alle mie parole: io soffro e voglio adoperarmi perché la punizione finisca, perché sono misericordioso. Da padre io mi piego ai torrenti di lacrime… voglio che i peccatori si salvino… E adesso profeta ascoltami, voglio che tu sappia bene che tutti gli uomini hanno la garanzia della mia compassione…». E Romano, con l’immagine di un accordo, descrive la fine dello scontro tra Dio ed il profeta e la fine anche della punizione del popolo: “Dio disse ad Elia: «Ti propongo un accordo. Tu sei stato turbato soltanto dalle lacrime di una vedova, io invece per tutti gli uomini…». Ed Elia disse: «Sia fatta la tua volontà! Elargisci la pioggia e dona al morto la vita. Poiché tu, o Dio, sei vita, resurrezione e redenzione…»”.
            Quasi una ripresa dell'argomento centrale del poema, cioè lo scontro tra lo zelo del profeta e la misericordia di Dio, Romano lo ripropone in vista però alla conclusione “cristologica” delle ultime strofe: “Quando poi molto tempo fu trascorso, Elia vide la malvagità degli uomini e pensò di rendere più grave il castigo. Ma il Misericordioso si rivolse al profeta dicendo: «Io conosco lo zelo che hai per quel che è giusto… ma ho compassione dei peccatori… tu ti adiri perché sei irreprensibile… io invece non sopporto che qualcuno si perda…»”. Quindi Dio, nel suo amore per gli uomini e quasi stanco dello zelo di Elia, decide di prendere con se il profeta, senza farlo passare per la morte, e scendere lui stesso, incarnandosi, facendosi uno tra gli uomini, capace di sopportare le loro colpe e liberarli da esse: “Dio disse ad Elia: «Lascia, amico mio, la dimora degli uomini, e scenderò io facendomi uomo nella mia misericordia… io che sono dal cielo, starò insieme ai peccatori e li libererò dalle loro colpe… scendo io che so prendere sulle mie spalle la pecora smarrita».
            La strofa conclusiva è un parallelo tra Elia e Cristo stesso: “Elia fu sollevato su un carro di fuoco, mentre il Cristo fu innalzato fra le nuvole e le potestà; quello dall’alto mandò il mantello ad Eliseo, mentre Cristo mandò ai suoi apostoli il santo Paraclito che tutti noi abbiamo ricevuto col battesimo…”.

P. Manuel Nin osb
Pontificio Collegio Greco
Roma


Romano il Melodo per la festa del profeta Elia
Le lacrime commuovono
l’amico degli uomini
Le liturgie cristiane di oriente e occidente celebrano il 20 luglio la festa del profeta Elia il tesbita. Quella bizantina lo presenta come il grande intercessore per il popolo, pieno di zelo per il Signore. Romano il Melodo ha un kontàkion dedicato al profeta di 33 strofe, dialogo — in alcuni momenti, quasi una lotta — tra la misericordia e la magnanimità di Dio e lo zelo e l’ira di Elia. «Dio, il solo amico degli uomini» è il ritornello che lo scandisce.
La prima strofa del testo lo riassume tutto: «Vedendo le molte trasgressioni degli uomini e il grande amore di Dio per loro, Elia fu sconvolto dall’ira e al Pietoso rivolse parole senza pietà: Fa’ sentire la tua collera a quanti ora ti offendono, giudice giusto! Ma non poté indurre in alcun modo la misericordia del Buono a punire quelli che lo offendevano, perché sempre attende il ravvedimento di tutti, il solo amico degli uomini». Di fronte alla pazienza di Dio, il profeta decide di agire per conto proprio. 
Toccanti sono le espressioni del profeta: «Vedendo il profeta tutta la terra nell’empietà e l’Altissimo che sopportava e non si adirava, si infuriò e dichiarò: Agirò io d’autorità e punirò quelli che ti offendono; essi non si danno pensiero della tua grande pazienza, Padre misericordioso! Ora farò io da giudice per conto del Creatore. Ma mi preoccupa la divina indulgenza: per commuovere l’amico degli uomini bastano poche lacrime! Fermerò la sua pietà rafforzando la decisione con un giuramento». Romano sottolinea questo quasi scontro tra lo zelo di Elia e la magnanimità di Dio: «Se vedrò sgorgare pentimento e lacrime, non potrò non elargire agli uomini la mia pietà, io, il solo amico degli uomini».
Il dilemma di Dio tra misericordia e giustizia lo porta a far sperimentare anche al profeta la fame e la sete del popolo punito: «Gli abitanti della terra deperivano gemendo e tendendo le mani al misericordioso. E Lui era in preda a un dilemma: desideroso di aprire il suo cuore a coloro che lo invocavano e di cedere alla pietà, ma provando vergogna per il profeta e per il giuramento da lui fatto». Romano mette in luce come Elia vince la fame e la sete a cui Dio stesso lo sottopone, perché lo zelo e l’ira verso il popolo diventano per lui quasi un nutrimento: «Il tesbita era gonfio d’ira contro i suoi simili, e come pietra insensibile sopportava la fame, perché in luogo del cibo si nutriva del suo fermo proposito».
Viene poi uno dei momenti più forti dello scontro tra Dio e il profeta: «Dio disse a Elia: La tua grande devozione per me, non deve provocare in te verso gli uomini un sentimento cattivo. Io onoro la tua amicizia e non annullo il tuo decreto, ma non riesco a sostenere il pianto e l’angoscia di tutti gli uomini che ho creato! Ed Elia rispose al Signore: Preferisco morire di fame, o Santissimo! Se solo riuscirò a punire gli empi, sarà per me un gran sollievo; perciò non avere pietà di me, ma soltanto stermina gli empi sulla terra».
L’incontro del profeta con la vedova di Sarepta, donna pagana con un figlio, lo muove alla misericordia: «Nei confronti di tutti gli altri sono stato insensibile, ma nei confronti di costei mi trasformerò: abituerò la mia natura a rallegrarsi delle opere di misericordia». Con immagini molto belle, Romano presenta la morte del figlio della vedova come una pedagogia di Dio stesso per portare Elia alla compassione verso il suo popolo: «Io credo, o Salvatore, disse Elia, che la morte di questo ragazzo sia un espediente della tua saggezza per costringermi alla misericordia. Così quando io ti chiederò: Risuscita il figlio della vedova che è morto, tu subito risponderai: Abbi pietà del mio figlio Israele».
La risposta di Dio al profeta diventa un annuncio della sua misericordia: «Il Misericordioso rispose a Elia: Ora presta orecchio alle mie parole: io soffro e voglio adoperarmi perché la punizione finisca, perché sono misericordioso. Da padre io mi piego ai torrenti di lacrime, voglio che i peccatori si salvino. E adesso profeta ascoltami, voglio che tu sappia bene che tutti gli uomini hanno la garanzia della mia compassione». E Romano, con l’immagine di un accordo, descrive la fine dello scontro tra Dio e il profeta e della punizione del popolo: «Dio disse a Elia: Ti propongo un accordo. Tu sei stato turbato soltanto dalle lacrime di una vedova, io invece per tutti gli uomini. Ed Elia disse: Sia fatta la tua volontà! Elargisci la pioggia e dona al morto la vita. Poiché tu, o Dio, sei vita, risurrezione e redenzione».
Alla fine Dio, quasi stanco dello zelo di Elia, decide di prenderlo con sé, senza farlo passare per la morte, e di incarnarsi: «Dio disse a Elia: Lascia, amico mio, la dimora degli uomini, e scenderò io facendomi uomo nella mia misericordia; io che sono dal cielo, starò insieme ai peccatori e li libererò dalle loro colpe; scendo io che so prendere sulle mie spalle la pecora smarrita».
La conclusione è un parallelo tra il profeta e Cristo stesso: «Elia fu sollevato su un carro di fuoco, mentre il Cristo fu innalzato fra le nuvole e le potestà; quello dall’alto mandò il mantello a Eliseo, mentre Cristo mandò ai suoi apostoli il santo Paraclito che tutti noi abbiamo ricevuto col battesimo».
  MANUEL NIN
Pontificio Collegio Greco
20 luglio 2011
Roma