miércoles, 21 de mayo de 2014

La festa della Trasfigurazione nella tradizione
Siro Occidentale.
Oggi il Signore trasfigurato rinnova Adamo nell’immagine della sua gloria

            La festa della Trasfigurazione del Signore nella tradizione siro occidentale è una delle grandi feste lungo l’anno liturgico. Essa sottolinea con delle immagini molto belle la manifestazione della divinità di Cristo per mezzo della sua umanità. Tutta l’ufficiatura, dal vespro al mattutino canta questa manifestazione attraverso i testi liturgici che sottolineano l’epifania della divinità di Cristo immersa nella sua piena umanità: “Signore Dio, facci degni di festeggiare in santità, di salmodiare in purezza, e di cantarti con canti di gioia, nella festa della manifestazione della gloria della tua divinità sul monte Tabor. La tua grazia, infatti, ci fa passare dal male al bene, dal peccato alla giustizia”. Nelle ufficiature del vespro e del mattino si leggono le pericope della Trasfigurazione del Signore in Matteo 17, ed in Marco 9 rispettivamente. Nell’ufficiatura notturna poi si alternano i testi eucologici presi dall’innografia efremiana con dei salmi letti sempre in chiave cristologica, il 28 ed il 75 nella prima veglia della notte, ed il 83 ed il cantico di Mosè di Esodo 15.
            La Trasfigurazione di Cristo sul Tabor è una piccola manifestazione della sua divinità, i qualche modo fatta a misura della capacità dei discepoli, e sempre attraverso la sua umanità: “Sull’alto della montagna tu hai manifestato ai tuoi discepoli un piccolo raggio della tua gloria, ed essi furono convinti dalla tua divinità…”. I testi liturgici della festa insistono sulla presenza di Mosè e di Elia sul monte, vista come un ritorno per l’adempimento delle loro profezie. Essi arrivano al Tabor per un’ordine dato dal Signore a coloro che li presero via, la morte per Mosè e il turbine per Elia: “Con un segno comanda alla morte: «va e portami qua Mosè». E anche al turbine: «va e portami qua Elia». E con un segno raduna loro sulla montagna”. Nell’ufficiatura del vespro il sedro, che è una composizione liturgica della tradizione siriaca scritta in prosa poetica che sviluppa e commenta il contenuto della festa che si celebra; il sedro quindi nella festa odierna ha una struttura quasi di prefazio liturgico, iniziando da una lode trinitaria: “Lode a te, Dio Padre, fonte di giustizia, che hai generato il tuo Verbo con una nascita eterna fuori dal tempo… Da te, col tuo Figlio, procede lo Spirito Santo… ”. Il testo poi prosegue con la descrizione dei fatti avvenuti nel mistero della Trasfigurazione di Cristo sul Tabor: “Tu, Signore, hai voluto che lo spirito umano possa avvicinarsi alla tua maestà, e hai voluto anche che risplenda la tua luce eterna, il tuo Figlio Unigenito, e splenda nella creazione per illuminare coloro che sedevano nelle tenebre e nell’ombra della morte. E Lui apparve sulla terra nella nostra natura umana per restaurare in essa la maestosa immagine della tua conoscenza. E in questo giorno la luce della sua divinità risplende nella sua umanità sul monte Tabor”. Quindi con una lunga serie di frasi iniziate con la forma “Oggi”, il sedro enumera i fatti salvifici che avvengono nella Trasfigurazione del Signore: “Oggi gli angeli scendono per onorare il Figlio unigenito che ha mutato il suo aspetto per manifestare al mondo la ricchezza della sua gloria. Oggi Pietro, Giacomo e Giovanni si rallegrano perché hanno visto la gloria della sua maestà e sono stati presi da timore e spavento davanti alla sua visione. Oggi Elia il Tesbita arriva e adora il Signore dei profeti che è venuto per autenticare le sue profezie. Oggi Mosè, il capo dei profeti, si alza dalla tomba e viene per vedere il Signore che gli apparve nel roveto ardente e non consumato. Oggi i discepoli comprendono che il tuo Figlio unigenito ha il potere sui viventi e sui morti, e sanno che morirà anche lui e vivrà, e con la sua morte vivificherà i popoli e le nazioni”. I testi accostano diversi passi dell'Antico e del Nuovo Testamento leggendoli come prefigurazione del mistero della redenzione di Cristo, ed anche molto spesso i testi liturgici accostano il monte Tabor a quello del Golgota: “Oggi arriva Elia il profeta per intercedere presso il tuo Figlio amato per la salvezza degli uomini, e lo supplica dicendo: Signore, se la salita di Isacco verso il sacrificio ha santificato l’altare, come la tua salita al Golgota non santificherà tutti gli uomini? Alzati, Signore, sull’altare prefigurato da Melchisedec, perché tu sei il pane vivente e l’offerta santa che accetti olocausti e sacrifici. Vieni, Signore, per crocifiggere il peccato e uccidere la morte, e che Adamo sia bagnato dal tuo sangue vivificante. Oggi Mosè il profeta supplica il tuo Figlio amato, dicendo: scendi, Signore, verso Adamo il tuo figlio amato, e rinnova l’immagine della sua gloria, perché la somiglianza della tua maestà era stata cancellata. Adamo ti aspetta e geme dicendo che tu devi venire a ridargli la gioia, a lui e a coloro che con lui giacciono in prigione”.
            Sant’Efrem il siro, nell’inno XXI sulla Verginità, dedica una strofa al monte Tabor, faccendone anche una lettura in parallelo col Golgota: “Quando Simone salì sul Tabor –per fortuna all’insaputa dei crocifissori-, cercò di persuadere il Signore: «Signore, è bello di essere quassù, senza coloro che ci potrebbero disturbare! È bello per noi essere coi giusti nella tenda della beatitudine. Ed è riposante essere con Mosè ed Elia, e non nel tempio, pieno di odio e di amarezza…». Ancora Efrem, nell’inno XV sulla Verginità, facendo l’elogio di Pietro, gli mette accanto Giacomo e Giovanni, con un riferimento alla gloria da loro contemplata nella Trasfigurazione: “Beato sei tu, Simone, tu che sei stato come il capo e la lingua del corpo dei tuoi fratelli! Questo corpo è costituito dai discepoli, e i figli di Zebedeo ne erano gli occhi. Beati loro che chiesero al loro Maestro dei troni, dopo aver contemplato il suo trono. Per mezzo di Simone fu udita la rivelazione che veniva da Dio, ed essa diventa pietra che non si muove”. Spesso Efrem ritorna a questa immagine del corpo degli apostoli con Pietro come capo; in questo inno citato, Giacomo e Giovanni diventano “i veggenti” della gloria divina di Cristo nella Trasfigurazione sul monte Tabor. Nel suo commento al Diatessaron, Efrem ancora accosta Tabor e Golgota: “L’odore del regno riempiva Simone, ed era a lui dolce… Vide la gloria del Signore e non la sua ignominia, e si rallegrò della presenza di Mosè e di Elia e dell'assenza di Caifa ed Erode…”. Inoltre Efrem ancora da un’importanza al ruolo di Pietro e degli altri due discepoli, eletti dal Signore per salire con lui nella montagna: “Convocò Elia, che prima era stato rapito in cielo, e Mosè risuscitato, ed anche tre testimoni tra gli apostoli, tre colonne capaci di sostenere la testimonianza del regno. Simone, malgrado la sua ignoranza, parlò con molta saggezza, e riconobbe Mosè ed Elia… Lo Spirito, manifestandosi per mezzo della bocca di Simone, disse delle cose che lo stesso Simone ignorava prima… Luce dello Spirito e libertà umana agirono insieme”. Sempre nel commento al Diatessaron, Efrem presenta la Trasfigurazione del Signore come prefigurazione della sua risurrezione: “Trasformò il suo volto sulla montagna, prima di morire, affinchè i discepoli non dubitassero della trasformazione del suo volto dopo la sua morte e credessero che colui che ha mutato i vestiti con cui era ricoperto, risusciterà anche i corpi con cui era rivestito”.

P. Manuel Nim
Pontificio Collegio greco
Roma


La festa della Trasfigurazione nella tradizione siro-occidentale
Oggi il Signore trasfigurato 
rinnova Adamo
Nella tradizione siro-occidentale la grande festa della Trasfigurazione del Signore sottolinea con immagini molto belle il manifestarsi della divinità di Cristo per mezzo della sua umanità: «Signore Dio, facci degni di festeggiare in santità, di salmodiare in purezza, e di cantarti con canti di gioia, nella festa della manifestazione della gloria della tua divinità sul 
monte Tabor. La tua grazia, infatti, ci fa passare dal male al bene, dal peccato alla giustizia». La trasfigurazione manifesta la divinità di Cristo, in qualche modo a misura della capacità dei discepoli.
Nel vespro il sedro, composizione liturgica siriaca in prosa poetica, descrive i fatti avvenuti sul Tabor: «Tu, Signore, hai voluto che lo spirito umano possa avvicinarsi alla tua maestà, e hai voluto anche che risplenda la tua luce eterna, il tuo Figlio unigenito, e splenda nella creazione per illuminare coloro che sedevano nelle tenebre e nell’ombra della morte. E lui apparve sulla terra nella nostra natura umana per restaurare in essa la maestosa immagine della tua conoscenza».
Con una lunga serie di frasi che iniziano con «oggi», il sedro enumera poi i fatti salvifici: «Oggi gli angeli scendono per onorare il Figlio unigenito che ha mutato il suo aspetto per manifestare al mondo la ricchezza della sua gloria. Oggi Pietro, Giacomo e Giovanni si rallegrano perché hanno visto la gloria della sua maestà e sono stati presi da timore e spavento davanti alla sua visione. Oggi Elia il Tesbita arriva e adora il Signore dei profeti che è venuto per autenticare le sue profezie. Oggi Mosè, il capo dei profeti, si alza dalla tomba e viene per vedere il Signore che gli apparve nel roveto ardente e non consumato. Oggi i discepoli comprendono che il tuo Figlio unigenito ha il potere sui viventi e sui morti, e sanno che morirà anche lui e vivrà, e con la sua morte vivificherà i popoli e le nazioni».
I testi accostano diversi passi dell’Antico e del Nuovo Testamento come prefigurazione della redenzione di Cristo: «Oggi arriva Elia il profeta per intercedere presso il tuo Figlio amato per la salvezza degli uomini e lo supplica dicendo: Signore, se la salita di Isacco verso il sacrificio ha santificato l’altare, come la tua salita al Golgota non santificherà tutti gli uomini? Alzati, Signore, sull’altare prefigurato da Melchisedec, perché tu sei il pane vivente e l’offerta santa che accetti olocausti e sacrifici. Vieni, Signore, per crocifiggere il peccato e uccidere la morte, e che Adamo sia bagnato dal tuo sangue vivificante. Oggi Mosè il profeta supplica il tuo Figlio amato, dicendo: scendi, Signore, verso Adamo il tuo figlio amato, e rinnova l’immagine della sua gloria, perché la somiglianza della tua maestà era stata cancellata. Adamo ti aspetta e geme dicendo che tu devi venire a ridargli la gioia, a lui e a coloro che con lui giacciono in prigione».
Anche Efrem mette il Tabor in parallelo col Golgota: «Quando Simone salì sul Tabor — per fortuna all’insaputa dei crocifissori — cercò di persuadere il Signore: Signore, è bello di essere quassù, senza coloro che ci potrebbero disturbare! È bello per noi essere coi giusti nella tenda della beatitudine. Ed è riposante essere con Mosè ed Elia, e non nel tempio, pieno di odio e di amarezza».
E facendo l’elogio di Pietro Efrem gli mette accanto Giacomo e Giovanni: «Beato sei tu, Simone, tu che sei stato come il capo e la lingua del corpo dei tuoi fratelli! Questo corpo è costituito dai discepoli e i figli di Zebedeo ne erano gli occhi. Beati loro che chiesero al loro maestro dei troni dopo aver contemplato il suo trono. Per mezzo di Simone fu udita la rivelazione che veniva da Dio ed essa diventa pietra che non si muove».
Spesso Efrem torna sull’immagine del corpo degli apostoli con Pietro come capo, accostando sempre Tabor e Golgota: «L’odore del regno riempiva Simone, ed era a lui dolce. Vide la gloria del Signore e non la sua ignominia, e si rallegrò della presenza di Mosè e di Elia e dell’assenza di Caifa ed Erode. Simone, malgrado la sua ignoranza, parlò con molta saggezza, e riconobbe Mosè ed Elia. Lo Spirito, manifestandosi per mezzo della bocca di Simone, disse delle cose che lo stesso Simone ignorava prima. Luce dello Spirito e libertà umana agirono insieme».
Efrem presenta infine la trasfigurazione del Signore come prefigurazione della sua risurrezione: «Trasformò il suo volto sulla montagna, prima di morire, affinché i discepoli non dubitassero della trasformazione del suo volto dopo la sua morte e credessero che colui che ha mutato i vestiti con cui era ricoperto risusciterà anche i corpi con cui era rivestito».
P. Manuel Nim
Pontificio Collegio greco
Roma

6 agosto 2011