jueves, 27 de julio de 2017

Oggi Anna la sterile partorisce Maria, il nido del Signore…

Il kontakion di Romano il Melodo per la festa della

Natività della Madre di Dio

            La Natività della Madre di Dio è una delle feste mariane più arcaiche, di origine gerosolimitana, testimoniata già nel IV secolo ed introdotta a Costantinopoli nel VI secolo e a Roma nel VII. I testi dell'ufficiatura nella tradizione bizantina della festa riprendono delle composizioni di autori gerosolimitani: Stefano (VI secolo) o costantinopolitani: Sergio e Germano (VII-VIII secoli). Sono dei testi che sottolineano e la preghiera di Gioacchino ed Anna nell’angoscia per la loro mancanza di discendenza, e la grande gioia per la nascita di Maria.
Romano il Melodo (VI secolo) ha un kontakion per la festa della Natività della Madre di Dio. Non si tratta di un testo molto lungo, soltanto undici strofe più una di introduzione, che è quella che poi è entrata nel mattutino della festa nella tradizione bizantina. In questa strofa introduttiva l’autore riassume i temi che poi svolgerà lungo l’intero testo, e soprattutto il mistero che la festa stessa celebra e contempla: Maria stessa, che viene cantata con i titoli di “Madre di Dio… Immacolata… nutrice del genere umano”; quindi la sua nascita che è fonte di gioia e di liberazione per due coppie, quella di Gioacchino ed Anna, liberati dalla vergogna della sterilità, e quella di Adamo ed Eva liberati dalla morte: “O Immacolata, con la tua nascita Gioacchino ed Anna furono liberati dalla mortificazione della sterilità, Adamo ed Eva dalla corruzione della morte… la sterile partorisce la Madre di Dio e la nutrice della nostra vita”. Questo ultimo versetto viene poi ripreso come conclusione di ognuna delle undici strofe del kontakion. La tristezza e la sofferenza di Gioacchino ed Anna per la loro mancanza di discendenza, e la grande gioia per la nascita di Maria saranno il filo conduttore di tutto il kontakion. Il mistero della nascita di Maria e dell'incarnazione del Verbo di Dio nel suo grembo porta la gioia a Gioacchino ed Anna, riporta in paradiso Adamo ed Eva.
            L’autore nelle due prime strofe sottolinea appunto la mancanza di discendenza di Gioacchino ed Anna e la loro preghiera fervente per ottenere il dono e la benedizione di Dio: la preghiera di Gioacchino avviene sul monte, quella di Anna nel giardino (il testo greco utilizza la parola “paradiso”); con queste due immagini sembra che Romano voglia evocare dei luoghi che poi Cristo stesso fa diventare luoghi della sua propria preghiera: “La preghiera ed il lamento di Gioacchino ed Anna per la mancanza di figli trovarono accoglienza, giunsero all’orecchio del Signore e fecero germogliare un frutto portatore di vita per il mondo… L’uno sul monte recitava la sua preghiera, l’altra nel giardino sopportava la sua umiliazione…”. In queste strofe è Maria che viene cantata, e Romano raccoglie i titoli che la tradizione patristica e liturgica danno alla Madre di Dio: “frutto portatore di vita”, “tempio santo”.
            Tre altre strofe contemplano e riassumono sia la nascita di Maria sia il suo ingresso nel tempio, due misteri celebrati dalle Chiese cristiane appunto l’8 settembre ed il 21 novembre. Gioacchino ed Anna offrono nel tempio i doni prescritti dopo la nascita di Maria: “Gioacchino aveva già recato doni al tempio, ma non erano stati graditi…: era privo di discendenza. Ma nel tempo opportuno egli presenta la Vergine con i doni di ringraziamento insieme ad Anna… Gioacchino invitò alla preghiera sacerdoti e leviti e condusse Maria in mezzo a loro…”. La quinta strofa del poema riassume tutto il mistero dell'ingresso e la vita di Maria nel tempio, dove lei vive ed è nutrita dalle mani di un angelo, e dove entra accompagnata da dieci vergini con le lampade accese tra le mani. Quindi, servendosi dell'immagine del ruscello che sgorga dal tempio in Ezechiele 47,1ss, Romano sottolinea come, grazie alla presenza di Maria il tempio stesso diventa luogo da dove sgorga la vita: “Un flusso di vita hai fatto sgorgare per noi, tu che avesti il dono di essere nutrita nel santuario da un angelo… tu che sei santa fra i santi, e tempio e nido del Signore. Le vergini condussero la Vergine con lampade prefigurando il Sole che ella diede ai credenti…”. Oltre all’immagine del “tempio”, Romano applica a Maria quella di “nido del Signore”.
            Dalla sesta all’ottava strofa troviamo la preghiera di ringraziamento di Anna. Il dono di Dio per la nascita di Maria la fa simile all’altra Anna per la nascita di Samuele il profeta; costui nel servizio diventa sacerdote del Signore, Maria diventa Madre del Signore: “Tu hai dato ascolto a me, o Signore, come a quella Anna… Ella offrì il figlio Samuele affinché servisse come sacerdote il Signore, e tu anche a me hai fatto un dono… Grande è la mia ventura perché ho generato una figlia che genererà il Signore Dio prima dei secoli, Colui che dopo il parto conserverà la madre vergine come è… Sarà lei, o Misericordioso, la tua porta per la discesa dall’alto dei cieli…”. In questa settima strofa Romano riassume tutto il mistero dell'incarnazione del Verbo di Dio e della verginità di Maria.
            Romano il Melodo si trattiene ancora a narrare l’incontro ed il fidanzamento di Maria e Giuseppe: “Maria ora risplende al volgere delle stagioni e rimane nel tempio dei santi. Vedendola nel fiore della giovinezza, Zaccaria per indicazione della sorte la pone sotto l’autorità del fidanzato Giuseppe, suo promesso sposo per volere divino. Ella è donata a lui mediante un bastone mosso dallo Spirito Santo”. Nella decima strofa poi Romano elenca, parlando sempre di Maria, tutta una serie di titoli che la collegano direttamente col mistero della salvezza adoperato da Cristo nella sua incarnazione: “Il tuo parto, o Anna veneranda, è benedetto perché hai partorito la gloria del mondo, l’agognata mediatrice per il genere umano. Ella è muraglia, fortezza e rifugio di quanti in lei confidano. Ogni cristiano ha in lei protezione, riparo e speranza di salvezza…”. Il kontakion finisce con una preghiera a Dio Creatore dell'universo e dell'uomo con la sua Parola e la sua Sapienza, lui l’unico amico degli uomini, misericordioso, protettore e pastore del suo gregge.
P. Manuel Nin
Pontificio Collegio greco
Roma



Romano il Melodo per la Natività della Madre di Dio
Oggi la sterile
partorisce il nido del Signore
La Natività della Madre di Dio è una delle feste mariane più arcaiche, di origine gerosolimitana, testimoniata già nel iv secolo e introdotta a Costantinopoli nel vi secolo e a Roma nel VII. I testi dell’ufficiatura nella tradizione bizantina della festa — che riprendono autori di Gerusalemme (Stefano, VI secolo) o costantinopolitani (Sergio e Germano, secoli VII-VIII) — sottolineano la preghiera di Gioacchino e Anna nell’angoscia per la mancanza di discendenza e la grande gioia per la nascita di Maria.

Romano il Melodo (VI secolo) ha un kontàkion per la festa della Natività della Madre di Dio. Nella strofa introduttiva l’autore riassume i temi svolti nel testo e soprattutto il mistero che la festa celebra e contempla: Maria stessa, cantata con i titoli di «Madre di Dio, immacolata, nutrice del genere umano», e la sua nascita, fonte di gioia per due coppie, quella di Gioacchino e Anna, liberati dalla vergogna della sterilità, e quella di Adamo ed Eva, liberati dalla morte.
Le due prime strofe sottolineano la mancanza di discendenza di Gioacchino e Anna e la loro preghiera fervente per ottenere il dono e la benedizione di Dio: la preghiera di Gioacchino avviene sul monte, quella di Anna nel giardino (in greco, «paradiso»); con queste due immagini Romano sembra evocare luoghi dove poi Cristo stesso pregherà: «La preghiera e il lamento di Gioacchino e Anna per la mancanza di figli trovarono accoglienza, giunsero all’orecchio del Signore e fecero germogliare un frutto portatore di vita per il mondo. L’uno sul monte recitava la sua preghiera, l’altra nel giardino sopportava la sua umiliazione».
Tre altre strofe contemplano e riassumono la nascita di Maria e il suo ingresso nel tempio, due misteri celebrati dalle Chiese cristiane appunto l’8 settembre e il 21 novembre. Gioacchino e Anna offrono nel tempio i doni prescritti dopo la nascita di Maria: «Gioacchino aveva già recato doni al tempio, ma non erano stati graditi: era privo di discendenza. Ma nel tempo opportuno egli presenta la Vergine con i doni di ringraziamento insieme ad Anna. Gioacchino invitò alla preghiera sacerdoti e leviti e condusse Maria in mezzo a loro».
La quinta strofa del poema riassume il mistero dell’ingresso e la vita di Maria nel tempio, dove lei vive nutrita dalle mani di un angelo ed entra accompagnata da dieci vergini con le lampade accese tra le mani. Quindi, servendosi dell’immagine del ruscello che sgorga dal tempio (in Ezechiele, 47, 1-12), Romano sottolinea come, grazie alla presenza di Maria il tempio stesso diventa luogo da dove sgorga la vita: «Un flusso di vita hai fatto sgorgare per noi, tu che avesti il dono di essere nutrita nel santuario da un angelo, tu che sei santa fra i santi, e tempio e nido del Signore. Le vergini condussero la Vergine con lampade prefigurando il Sole che ella diede ai credenti». Oltre all’immagine del «tempio», Romano applica a Maria quella di «nido del Signore».
Segue la preghiera di ringraziamento di Anna. Il dono di Dio per la nascita di Maria la fa simile all’altra Anna per la nascita di Samuele il profeta; costui nel servizio diventa sacerdote del Signore, Maria diventa Madre del Signore: «Tu hai dato ascolto a me, o Signore, come a quella Anna. Ella offrì il figlio Samuele affinché servisse come sacerdote il Signore, e tu anche a me hai fatto un dono. Grande è la mia ventura perché ho generato una figlia che genererà il Signore Dio prima dei secoli, Colui che dopo il parto conserverà la madre vergine come è. Sarà lei, o misericordioso, la tua porta per la discesa dall’alto dei cieli».
Il poeta descrive quindi l’incontro e il fidanzamento di Maria e Giuseppe: «Maria ora risplende al volgere delle stagioni e rimane nel tempio dei santi. Vedendola nel fiore della giovinezza, Zaccaria per indicazione della sorte la pone sotto l’autorità del fidanzato Giuseppe, suo promesso sposo per volere divino. Ella è donata a lui mediante un bastone mosso dallo Spirito Santo».
Alla fine Romano elenca una serie di titoli che collegano Maria col mistero della salvezza operato da Cristo: «Il tuo parto, o Anna veneranda, è benedetto perché hai partorito la gloria del mondo, l’agognata mediatrice per il genere umano. Ella è muraglia, fortezza e rifugio di quanti in lei confidano. Ogni cristiano ha in lei protezione, riparo e speranza di salvezza». Chiude il poema una preghiera a Dio, l’unico amico degli uomini.
 Manuel Nin

8 settembre 2011