jueves, 27 de febrero de 2014

La festa dell’Ingresso del Signore nel Tempio nella tradizione Siro Occidentale.
Beato il sacerdote che oggi offre al Padre il Figlio del Padre
            La tradizione liturgica siro occidentale, come le altre liturgie cristiane celebra come grande festa il quarantesimo giorno dono la nascita di Cristo, a partire dalla lettura della pericope evangelica di Lc 2, 22-40. Già la peregrina Egeria, nella seconda metà del IV secolo, ci parla di questa celebrazione a Gerusalemme, presso la basilica dell’Anastasi (Risurrezione), e paragonandola quasi alla Pasqua ci indica che: valde cum summo honore hic celebrantur… cum summa laetitia ac si per Pascha… Nel V-VI secc. la festa si celebra già ad Alessandria, ad Antiochia e a Costantinopoli e, alla fine del VII secolo viene introdotta a Roma da papa Sergio I (687-701).
In tutte le liturgie cristiane, oltre a celebrare il fatto evangelico narrato a Lc 2, la festa del 2 febbraio ha un senso fortemente pasquale, e ne è un annunzio evidente. Nella tradizione siro occidentale l’Ingresso di Gesù nel tempio si celebra in un contesto di prefigurazione pasquale, e viene messo in parallelo con la sua discesa agli inferi; una delle prime preghiere del vespri recita: “…per salvare gli uomini fatti dalla polvere, ecco che Dio scende fino allo Sheol; concede ai prigionieri la salvezza e la libertà, ai ciechi la vista, e ai muti la voce per cantare: sei benedetto Signore, Onnipotente Dio dei nostri padri…”. Diversi dei testi dell’ufficiatura vespertina leggono in chiave allegorica lo stesso testo di Lc 2: “…tu che accetti i sacrifici e porti a compimento i misteri, tu hai, secondo la Legge, presentato un paio di tortore. Ed ecco che l’anziano Simeone seppe che Tu sei il Signore dei due Testamenti, dell’Antico e del Nuovo…”. Simeone ancora, è paragonato, nel suo accogliere e reggere il Bambino nelle braccia, a dei cherubini che sono attorno al trono di Dio: “Simeone fu un cherubino spirituale ed anche un serafino…; nelle sue braccia, come delle ali, tenne il Signore dei serafini… e chiese ad un bambino, quale fosse un re, la sua liberazione…”. Il vespro prevede la lettura evangelica di Lc 2, 22-35, cioè fino all’incontro con Simeone, mentre che l’ufficiatura del mattino riprende la pericope a Lc 2, 36-38, l’incontro con la profetessa Anna.
L’ufficiatura notturna della festa, invece, si serve di salmi che vengono letti in chiave cristologica: 22, 23 e 25 per la prima parte della notte, e 41 e 83 per la seconda. In modo speciale il salmo 23: “Sollevate, o porte, i vostri frontali, innalzatevi, o porte eterne, perché entri il Re della gloria…”; ed il salmo 83: ”Quanto amabili sono le tue tende, o Signore delle schiere! Beati coloro che abitano nella tua casa: sempre possono cantare le tue lodi…”. I diversi Inni di sant’Efrem, cantati nell’ufficiatura della notte sottolineano diversi aspetti della teologia stessa della festa. Simeone viene presentato allo stesso tempo come offerente ed offerto, un titolo che la liturgia bizantina poi darà direttamente a Cristo: “Per amore di Lui divenne grande il vecchio Simeone, al punto di poter offrire, lui, un mortale, l’onnivivificante. Con la forza che viene da Lui Simeone lo poté portare; proprio lui, che lo offriva, era da Lui offerto”. La tradizione siro occidentale, in questa festa, mentre si trattiene a lungo con le figure di Simeone ed Anna, dà a Maria soltanto il ruolo di colei che ha partorito il Cristo ed adesso lo introduce nel tempio: “Maria portava Colui che è più anziano dei secoli…; Simeone porta il Figlio di Dio incarnato, e Giuseppe e Maria offrono dei sacrifici nel tempio”.
            Efrem ancora, nella liturgia del 2 febbraio, presenta volentieri Simeone ed Anna come due nonni che cantano delle nenie al bambino. Tre strofe dei suoi inni contengono delle vere e proprie professioni di fede. In primo luogo la strofa di Simeone in cui ritroviamo il tema della discesa agli inferi ed il collegamento pasquale della festa: “Nel tempio santo Simeone lo portava cantandogli una nenia: «Sei venuto, o clemente, tu che hai clemenza della mia vecchiaia e fai entrare le mie ossa in pace nello sheol. Grazie a te risusciterò dal sepolcro al paradiso»”; Simeone, come Adamo, verrà introdotto dal Signore al paradiso. Per quanto riguarda Anna, una delle strofe utilizza delle immagini fortemente sacramentali per descrivere il suo incontro col il bambino: “Lo abbracciò Anna, e pose la propria bocca sulle sue labbra. E lo Spirito si posò sulle sue labbra, come fu con Isaia: muta era la sua bocca, ma il carbone ardente avvicinato alle sue labbra aprì la sua bocca”. Anna, in questa strofa efremiana, è quasi paragonata alla Chiesa e ai cristiani che ricevono i Santi Doni. Infatti, la tradizione liturgica siro occidentale chiama “brace” e “carbone ardente” il Corpo ed il Sangue di Cristo nella celebrazione eucaristica. L’altra delle strofe presenta Anna che contempla nel bambino il Figlio di Dio abbassatosi, fattosi piccolo: “Ribolliva Anna dello Spirito dalla sua bocca e gli cantò una nenia: «O figlio di condizione regale, o figlio di condizione vile, in silenzio ascolti, invisibile vedi, nascosto intendi, Dio figlio d’uomo sia gloria al tuo nome»”. Simeone ancora, toccando il bambino viene lui stesso purificato e santificato: “Beato il sacerdote che, nel santuario, ha offerto al Padre il Figlio del Padre; frutto raccolto dal nostro albero, pur provenendo interamente dalla divina maestà. Beate le sue mani, santificate dall’averlo portato, e la sua canizie, ringiovanita dall’averlo abbracciato. Nel tempio lo Spirito attendeva con ardore il suo ingresso e quando fu crocifisso uscì, strappando il velo”.
            Nel suo commento al Diatessaron, Efrem leggendo il testo siriaco di Lc 2,35 nel suo significato letterale: “Tu allontanerai la spada nella tua anima”, ne propone tre interpretazioni; una prima vedendo in Maria colei che ha portato la salvezza in Cristo: “Tu allontanerai la spada; …la spada che chiudeva l’ingresso nel paradiso a causa di Eva, è stata tolta da Maria”. Una seconda interpretazione in un contesto più ecclesiologico: “Tu allontanerai la spada, cioè la negazione ed il dubbio”. Una terza interpretazione collegando sotto l’unico nome di Maria due personaggi evangelici: “Tu allontanerai la spada, cioè tu anche dubiterai perché «credevi che era l’ortolano»… (Gv 20,15)”.
            La tradizione liturgica siro occidentale e la stessa icona della festa mette in luce particolarmente l=incontro di Dio con l=uomo, manifesta il mistero dell=incarnazione e prefigura la passione, morte e risurrezione di Cristo. L=icona della festa dell=Incontro diventa l=annuncio dell=altro grande Incontro, quando l=Uomo nuovo, Cristo scende nell’Ade per annunciare ad Adamo la sua salvezza e la sua risurrezione.

P. Manuel Nin
Pontificio Collegio Greco
Roma


Beato il sacerdote
che oggi offre al Padre il Figlio del Padre

di Manuel Nin
La tradizione liturgica siro-occidentale celebra come grande festa il quarantesimo giorno dopo la nascita di Cristo, a partire dal vangelo di Luca (2, 22-40). Già Egeria, nella seconda metà del iv secolo, ci parla di questa celebrazione a Gerusalemme, presso la basilica della Risurrezione e la paragona quasi alla Pasqua:  cum summa laetitia ac si per Pascha. Nei secoli v e vi la festa  si celebra ad Alessandria, Antiochia e Costantinopoli  e  alla  fine  del  vii viene  introdotta  a  Roma  da  papa Sergio 1. 

In tutte le liturgie cristiane la festa del 2 febbraio è un annunzio evidente della Pasqua. Nella tradizione siro-occidentale l'Ingresso di Gesù nel tempio si celebra in un contesto di prefigurazione pasquale e viene messo in parallelo con la sua discesa agli inferi. Una delle prime preghiere dei vespri recita:  "Per salvare gli uomini fatti dalla polvere, ecco che Dio scende fino allo Sheol; concede ai prigionieri la salvezza e la libertà, ai ciechi la vista, e ai muti la voce per cantare:  sei benedetto Signore, Onnipotente Dio dei nostri padri". 
Diversi testi dell'ufficiatura vespertina leggono allegoricamente lo stesso testo evangelico:  "Tu che accetti i sacrifici e porti a compimento i misteri, tu hai, secondo la Legge, presentato un paio di tortore. Ed ecco che l'anziano Simeone seppe che tu sei il Signore dei due Testamenti, dell'Antico e del Nuovo". Simeone è paragonato, nell'accogliere e reggere il bambino, agli angeli attorno al trono di Dio:  "Simeone fu un cherubino spirituale e anche un serafino; nelle sue braccia, come delle ali, tenne il Signore dei serafini e chiese a un bambino, come fosse un re, la sua liberazione". 
Gli Inni di sant'Efrem cantati nell'ufficiatura della notte sottolineano diversi aspetti della teologia della festa. Simeone viene presentato allo stesso tempo come offerente e offerto, titolo che la liturgia bizantina poi darà direttamente a Cristo:  "Per amore di Lui divenne grande il vecchio Simeone, al punto di poter offrire, lui, un mortale, colui che vivifica tutto. Con la forza che viene da Lui Simeone lo poté portare; proprio lui, che lo offriva, era da Lui offerto". 
Ancora Efrem presenta Simeone e Anna come due nonni che cantano delle nenie al bambino. In una strofa si ritrovano il tema della discesa agli inferi e il collegamento con la Pasqua:  "Nel tempio santo Simeone lo portava cantandogli una nenia:  Sei venuto, o clemente, tu che hai clemenza della mia vecchiaia e fai entrare le mie ossa in pace nello Sheol. Grazie a te risusciterò dal sepolcro al paradiso". Come Adamo Simeone verrà introdotto dal Signore in paradiso. 
Per Anna una delle strofe utilizza immagini fortemente sacramentali nel descrivere il suo incontro con il bambino:  "Lo abbracciò Anna, e pose la propria bocca sulle sue labbra. E lo Spirito si posò sulle sue labbra, come fu con Isaia:  muta era la sua bocca, ma il carbone ardente avvicinato alle sue labbra aprì la sua bocca". 
Anna è quasi paragonata alla Chiesa e ai cristiani che ricevono i Santi doni. Infatti, la tradizione liturgica siro-occidentale chiama "brace" e "carbone ardente" il Corpo e il Sangue di Cristo nella celebrazione eucaristica. L'altra strofa presenta Anna che contempla nel bambino il Figlio di Dio fattosi piccolo:  "Ribolliva Anna dello Spirito dalla sua bocca e gli cantò una nenia:  O figlio di condizione regale, o figlio di condizione vile, in silenzio ascolti, invisibile vedi, nascosto intendi, Dio figlio d'uomo sia gloria al tuo nome". 
E Simeone, toccando il bambino, viene purificato e santificato:  "Beato il sacerdote che, nel santuario, ha offerto al Padre il Figlio del Padre; frutto raccolto dal nostro albero, pur provenendo interamente dalla divina maestà. Beate le sue mani, santificate dall'averlo portato, e la sua canizie, ringiovanita dall'averlo abbracciato. Nel tempio lo Spirito attendeva con ardore il suo ingresso e quando fu crocifisso uscì, strappando il velo". 
L'icona della festa mette in luce l'incontro di Dio con l'uomo, manifesta il mistero dell'incarnazione e prefigura la passione, morte e risurrezione di Cristo. Diventando l'annuncio dell'altro grande incontro, quando l'uomo nuovo, Cristo, scende nell'Ade per annunciare ad Adamo la sua salvezza e la sua risurrezione.


P. Manuel Nin
Pontificio Collegio Greco
Roma

(©L'Osservatore Romano - 1-2 febbraio 2010)