La festa dell’Ingresso del Signore nel Tempio nella tradizione
Siro Occidentale.
Beato il sacerdote che oggi offre al
Padre il Figlio del Padre
La tradizione
liturgica siro occidentale, come le altre liturgie cristiane celebra come
grande festa il quarantesimo giorno dono la nascita di Cristo, a partire dalla lettura
della pericope evangelica di Lc 2, 22-40. Già la peregrina Egeria, nella
seconda metà del IV secolo, ci parla di questa celebrazione a Gerusalemme,
presso la basilica dell’Anastasi (Risurrezione), e paragonandola quasi alla
Pasqua ci indica che: valde cum summo honore hic celebrantur… cum summa
laetitia ac si per Pascha… Nel V-VI secc. la festa si celebra già ad
Alessandria, ad Antiochia e a Costantinopoli e, alla fine del VII secolo viene
introdotta a Roma da papa Sergio I (687-701).
In tutte le liturgie cristiane, oltre a
celebrare il fatto evangelico narrato a Lc 2, la festa del 2 febbraio ha un
senso fortemente pasquale, e ne è un annunzio evidente. Nella tradizione siro
occidentale l’Ingresso di Gesù nel tempio si celebra in un contesto di
prefigurazione pasquale, e viene messo in parallelo con la sua discesa agli
inferi; una delle prime preghiere del vespri recita: “…per salvare gli uomini
fatti dalla polvere, ecco che Dio scende fino allo Sheol; concede ai
prigionieri la salvezza e la libertà, ai ciechi la vista, e ai muti la voce per
cantare: sei benedetto Signore, Onnipotente Dio dei nostri padri…”. Diversi dei
testi dell’ufficiatura vespertina leggono in chiave allegorica lo stesso testo
di Lc 2: “…tu che accetti i sacrifici e porti a compimento i misteri, tu hai,
secondo la Legge, presentato un paio di tortore. Ed ecco che l’anziano Simeone
seppe che Tu sei il Signore dei due Testamenti, dell’Antico e del Nuovo…”.
Simeone ancora, è paragonato, nel suo accogliere e reggere il Bambino nelle
braccia, a dei cherubini che sono attorno al trono di Dio: “Simeone fu un
cherubino spirituale ed anche un serafino…; nelle sue braccia, come delle ali,
tenne il Signore dei serafini… e chiese ad un bambino, quale fosse un re, la
sua liberazione…”. Il vespro prevede la lettura evangelica di Lc 2, 22-35, cioè
fino all’incontro con Simeone, mentre che l’ufficiatura del mattino riprende la
pericope a Lc 2, 36-38, l’incontro con la profetessa Anna.
L’ufficiatura notturna della festa,
invece, si serve di salmi che vengono letti in chiave cristologica: 22, 23 e 25
per la prima parte della notte, e 41 e 83 per la seconda. In modo speciale il
salmo 23: “Sollevate, o porte, i vostri frontali, innalzatevi, o porte
eterne, perché entri il Re della gloria…”; ed il salmo 83: ”Quanto amabili sono
le tue tende, o Signore delle schiere! Beati coloro che abitano nella tua casa:
sempre possono cantare le tue lodi…”. I diversi Inni di sant’Efrem, cantati
nell’ufficiatura della notte sottolineano diversi aspetti della teologia stessa
della festa. Simeone viene presentato allo stesso tempo come offerente ed
offerto, un titolo che la liturgia bizantina poi darà direttamente a Cristo: “Per
amore di Lui divenne grande il vecchio Simeone, al punto di poter offrire, lui,
un mortale, l’onnivivificante. Con la forza che viene da Lui Simeone lo poté
portare; proprio lui, che lo offriva, era da Lui offerto”. La tradizione siro
occidentale, in questa festa, mentre si trattiene a lungo con le figure di
Simeone ed Anna, dà a Maria soltanto il ruolo di colei che ha partorito il
Cristo ed adesso lo introduce nel tempio: “Maria portava Colui che è più
anziano dei secoli…; Simeone porta il Figlio di Dio incarnato, e Giuseppe e
Maria offrono dei sacrifici nel tempio”.
Efrem ancora,
nella liturgia del 2 febbraio, presenta volentieri Simeone ed Anna come due
nonni che cantano delle nenie al bambino. Tre strofe dei suoi inni contengono
delle vere e proprie professioni di fede. In primo luogo la strofa di Simeone
in cui ritroviamo il tema della discesa agli inferi ed il collegamento pasquale
della festa: “Nel tempio santo Simeone lo portava cantandogli una nenia: «Sei
venuto, o clemente, tu che hai clemenza della mia vecchiaia e fai entrare le
mie ossa in pace nello sheol. Grazie a te risusciterò dal sepolcro al paradiso»”;
Simeone, come Adamo, verrà introdotto dal Signore al paradiso. Per quanto
riguarda Anna, una delle strofe utilizza delle immagini fortemente sacramentali
per descrivere il suo incontro col il bambino: “Lo abbracciò Anna, e pose la
propria bocca sulle sue labbra. E lo Spirito si posò sulle sue labbra, come fu
con Isaia: muta era la sua bocca, ma il carbone ardente avvicinato alle sue
labbra aprì la sua bocca”. Anna, in questa strofa efremiana, è quasi paragonata
alla Chiesa e ai cristiani che ricevono i Santi Doni. Infatti, la tradizione
liturgica siro occidentale chiama “brace” e “carbone ardente” il Corpo ed il
Sangue di Cristo nella celebrazione eucaristica. L’altra delle strofe presenta
Anna che contempla nel bambino il Figlio di Dio abbassatosi, fattosi piccolo:
“Ribolliva Anna dello Spirito dalla sua bocca e gli cantò una nenia: «O figlio
di condizione regale, o figlio di condizione vile, in silenzio ascolti,
invisibile vedi, nascosto intendi, Dio figlio d’uomo sia gloria al tuo nome»”. Simeone
ancora, toccando il bambino viene lui stesso purificato e santificato: “Beato
il sacerdote che, nel santuario, ha offerto al Padre il Figlio del Padre;
frutto raccolto dal nostro albero, pur provenendo interamente dalla divina
maestà. Beate le sue mani, santificate dall’averlo portato, e la sua canizie,
ringiovanita dall’averlo abbracciato. Nel tempio lo Spirito attendeva con
ardore il suo ingresso e quando fu crocifisso uscì, strappando il velo”.
Nel suo
commento al Diatessaron, Efrem leggendo il testo siriaco di Lc 2,35 nel suo
significato letterale: “Tu allontanerai la spada nella tua anima”, ne propone
tre interpretazioni; una prima vedendo in Maria colei che ha portato la
salvezza in Cristo: “Tu allontanerai la spada; …la spada che chiudeva
l’ingresso nel paradiso a causa di Eva, è stata tolta da Maria”. Una seconda
interpretazione in un contesto più ecclesiologico: “Tu allontanerai la spada,
cioè la negazione ed il dubbio”. Una terza interpretazione collegando sotto
l’unico nome di Maria due personaggi evangelici: “Tu allontanerai la spada,
cioè tu anche dubiterai perché «credevi che era l’ortolano»… (Gv 20,15)”.
La
tradizione liturgica siro occidentale e la stessa icona della festa mette in
luce particolarmente l=incontro di Dio
con l=uomo, manifesta
il mistero dell=incarnazione e
prefigura la passione, morte e risurrezione di Cristo. L=icona della festa dell=Incontro diventa l=annuncio dell=altro grande Incontro, quando l=Uomo nuovo, Cristo scende nell’Ade per
annunciare ad Adamo la sua salvezza e la sua risurrezione.
P. Manuel Nin
Pontificio Collegio Greco
Roma
Beato il sacerdote
che oggi offre al Padre il Figlio del Padre
che oggi offre al Padre il Figlio del Padre
di Manuel Nin
La tradizione liturgica siro-occidentale celebra come
grande festa il quarantesimo giorno dopo la nascita di Cristo, a partire dal
vangelo di Luca (2, 22-40). Già Egeria, nella seconda metà del iv secolo, ci
parla di questa celebrazione a Gerusalemme, presso la basilica della
Risurrezione e la paragona quasi alla Pasqua: cum summa laetitia ac si
per Pascha. Nei secoli v e vi la festa si celebra ad
Alessandria, Antiochia e Costantinopoli e alla fine del
vii viene introdotta a Roma da papa Sergio
1.
In tutte le liturgie cristiane la festa del 2 febbraio è un annunzio evidente
della Pasqua. Nella tradizione siro-occidentale l'Ingresso di Gesù nel tempio
si celebra in un contesto di prefigurazione pasquale e viene messo in parallelo
con la sua discesa agli inferi. Una delle prime preghiere dei vespri
recita: "Per salvare gli uomini fatti dalla polvere, ecco che Dio
scende fino allo Sheol; concede ai prigionieri la salvezza e la libertà, ai
ciechi la vista, e ai muti la voce per cantare: sei benedetto Signore,
Onnipotente Dio dei nostri padri".
Diversi testi dell'ufficiatura vespertina leggono allegoricamente lo stesso
testo evangelico: "Tu che accetti i sacrifici e porti a compimento i
misteri, tu hai, secondo la Legge, presentato un paio di tortore. Ed ecco che
l'anziano Simeone seppe che tu sei il Signore dei due Testamenti, dell'Antico e
del Nuovo". Simeone è paragonato, nell'accogliere e reggere il bambino,
agli angeli attorno al trono di Dio: "Simeone fu un cherubino spirituale
e anche un serafino; nelle sue braccia, come delle ali, tenne il Signore dei
serafini e chiese a un bambino, come fosse un re, la sua liberazione".
Gli Inni di sant'Efrem cantati nell'ufficiatura della notte sottolineano
diversi aspetti della teologia della festa. Simeone viene presentato allo
stesso tempo come offerente e offerto, titolo che la liturgia bizantina poi
darà direttamente a Cristo: "Per amore di Lui divenne grande il
vecchio Simeone, al punto di poter offrire, lui, un mortale, colui che vivifica
tutto. Con la forza che viene da Lui Simeone lo poté portare; proprio lui, che
lo offriva, era da Lui offerto".
Ancora Efrem presenta Simeone e Anna come due nonni che cantano delle nenie al
bambino. In una strofa si ritrovano il tema della discesa agli inferi e il
collegamento con la Pasqua: "Nel tempio santo Simeone lo portava
cantandogli una nenia: Sei venuto, o clemente, tu che hai clemenza della
mia vecchiaia e fai entrare le mie ossa in pace nello Sheol. Grazie a te
risusciterò dal sepolcro al paradiso". Come Adamo Simeone verrà introdotto
dal Signore in paradiso.
Per Anna una delle strofe utilizza immagini fortemente sacramentali nel
descrivere il suo incontro con il bambino: "Lo abbracciò Anna, e
pose la propria bocca sulle sue labbra. E lo Spirito si posò sulle sue labbra,
come fu con Isaia: muta era la sua bocca, ma il carbone ardente
avvicinato alle sue labbra aprì la sua bocca".
Anna è quasi paragonata alla Chiesa e ai cristiani che ricevono i Santi doni.
Infatti, la tradizione liturgica siro-occidentale chiama "brace" e
"carbone ardente" il Corpo e il Sangue di Cristo nella celebrazione
eucaristica. L'altra strofa presenta Anna che contempla nel bambino il Figlio
di Dio fattosi piccolo: "Ribolliva Anna dello Spirito dalla sua
bocca e gli cantò una nenia: O figlio di condizione regale, o figlio di
condizione vile, in silenzio ascolti, invisibile vedi, nascosto intendi, Dio
figlio d'uomo sia gloria al tuo nome".
E Simeone, toccando il bambino, viene purificato e santificato:
"Beato il sacerdote che, nel santuario, ha offerto al Padre il Figlio del
Padre; frutto raccolto dal nostro albero, pur provenendo interamente dalla
divina maestà. Beate le sue mani, santificate dall'averlo portato, e la sua
canizie, ringiovanita dall'averlo abbracciato. Nel tempio lo Spirito attendeva
con ardore il suo ingresso e quando fu crocifisso uscì, strappando il
velo".
L'icona della festa mette in luce l'incontro di Dio con l'uomo, manifesta il
mistero dell'incarnazione e prefigura la passione, morte e risurrezione di
Cristo. Diventando l'annuncio dell'altro grande incontro, quando l'uomo nuovo,
Cristo, scende nell'Ade per annunciare ad Adamo la sua salvezza e la sua
risurrezione.
P. Manuel Nin
Pontificio Collegio Greco
Roma
(©L'Osservatore
Romano - 1-2 febbraio 2010)