lunes, 6 de junio de 2016

alziamo lo sguardo e i sensi verso le porte celesti…
L’Ascensione del Signore nell’innografia di Romano il Melode
         L’Ascensione del Signore, celebrata il quarantesimo giorno dopo la Risurrezione, è una delle grandi feste comuni a tutte le Chiese Cristiane. Testimoniata già dal IV secolo in Eusebio di Cesarea attorno al 325; la peregrina Egeria invece parla di una celebrazione il quarantesimo giorno dopo Pasqua ma che si fa a Betlemme e non sul Monte degli Ulivi da dove il Signore ascende in cielo. Inoltre, sempre secondo Egeria, il raduno dei fedeli col vescovo nel luogo dell'Ascensione e la lettura della pericope del vangelo viene fatta la vigilia della Pentecoste. Gregorio di Nissa e Giovanni Crisostomo hanno delle omelie per l’Ascensione, ed anche Agostino di Ippona in ambito latino. Nella tradizione bizantina, festa dell’Ascensione, si prolunga per una settimana nella sua ottava. Due tropari del mattutino della festa nella tradizione bizantina sono dell'innografo Romano il Melode (+555). Questi due tropari raccolti nell’ufficiatura, sono i due iniziali del lungo kontakion (inno) di diciotto strofe che Romano compone per la festa, in cui snodano i diversi aspetti teologici che compongono la celebrazione del quarantesimo giorno dopo la Risurrezione, che porta nei libri liturgici bizantini il titolo di “Ascensione del Signore e Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo”.
Romano parte dalla narrazione biblica dell'ascensione nel vangelo di Luca e negli Atti degli Apostoli, e la sviluppa lungo tutto il poema; ognuna delle strofe inoltre si conclude sempre con lo stesso versetto: “Non mi separo da voi. Io sono con voi e nessuno sarà contro di voi”, che riprende tre testi biblici: Ageo 1,8; Matteo 28,20 e Romani 8,31. Tutta l’economia della salvezza portata a termine da Cristo, dalla sua incarnazione alla sua risurrezione ed ascensione nei cieli, è vista da Romano in questo inno come la restaurazione della piena comunione tra il cielo e la terra di cui l’ascensione ne diventa il sigillo: “Compiuta l=economia a nostro favore, e congiunte a quelle celesti le realtà terrestri, sei asceso nella gloria, o Cristo Dio nostro, senza tuttavia separarti in alcun modo da quelli che ti amano; ma rimanendo inseparabile da loro, dichiari: Io sono con voi, e nessuno è contro di voi”. L’ascensione del Signore, inoltre, non è un allontanarsi dagli uomini, un lasciarli da soli, bensì un pegno del suo amore, della sua consolazione: “…eleviamoci, leviamo in alto occhi e mente, alziamo lo sguardo e i sensi verso le porte celesti, pur essendo mortali; immaginiamo di andare al monte degli Ulivi e di vedere il Redentore portato da una nube: …di là, lui che ama donare, ha distribuito doni ai suoi apostoli, consolandoli come un padre, guidandoli come figli e dicendo loro: Non mi separo da voi: io sono con voi e nessuno è contro di voi”.
            Romano si trattiene ancora lungo tutto i testo innografico sul tema della protezione, della cura che il Signore ha avuto ed ha sui suoi discepoli, sulla sua Chiesa. Nelle strofe iniziali che contengono il discorso di commiato di Cristo ai suoi discepoli radunati nel monte degli Ulivi, l’autore adopera delle immagini che hanno una dimensione allo stesso tempo e cristologica ed ecclesiologica. Con un’immagine presa da Deuteronomio 32,11, Cristo sul monte dell'ascensione è paragonato all’aquila che dall’alto sorveglia e protegge la sua nidiata, immagine che la tradizione bizantina poi applica anche alla cura del vescovo verso la sua chiesa: “… i discepoli, condotti sul monte degli Ulivi, circondavano il loro benefattore, e lui stendendo le mani come ali, coprì come un’aquila il nido affidato alle sue cure e disse ai suoi uccellini: «Vi ho protetti da ogni male: amatevi dunque come io vi ho amati. Non mi separo da voi: io sono con voi e nessuno sarà contro di voi»”. Anche la benedizione di Cristo sui suoi discepoli con le mani stese è paragonata da Romano da una parte con le mani stese di Cristo sulla croce, e dall’altra con l’imposizione delle mani nel battesimo, quasi la scena sul monte degli Ulivi fosse per i discepoli il loro battesimo: “Come Dio e Creatore dell'universo io stendo sopra di voi le mie mani… quelle legate ed inchiodate sul legno… Nel chinare il vostro capo sotto queste mani voi riconoscete quel che faccio: io impongo su voi le mie mani come battezzandovi e vi mando pieni di luce e di saggezza…”.
            L’ascensione del Signore provoca la tristezza ed il lamento degli apostoli che presentano a Cristo l’elenco di tutto quello che ognuno di essi ha fatto e lasciato al momento del loro incontro con Cristo, quasi un modello delle condizioni richieste al cristiano che si pone alla sequela di Cristo: “Abbiamo rinunciato a tutta la nostra vita… siamo diventati stranieri e pellegrini sulla terra… Pietro, il primo tra di noi a farsi tuo seguace, si privò di tutti i suoi averi… Andrea suo fratello abbandonò i suoi beni terreni e si caricò sulle spalle la tua croce… Tu vuoi trascurare e disdegnare l’amore dei figli di Zebedeo? Essi ti anteposero perfino il loro padre… e Matteo che desiderava la tua ricchezza… e Tommaso che disprezzò pure la vita… Noi amiamo te più di ogni altro…”. La risposta rassicurante data da Cristo ai suoi discepoli è che l’ascensione non deve essere vissuta come causa di pianto ma di gioia, e nella strofa nona, nel bel mezzo di tutto l’inno, Romano presenta una bellissima confessione di fede cristologica e soteriologica: “Levatevi in piedi e contemplate questa ascensione con occhio incontaminato: essa è del copro e non della divinità. La carne che vedete è quella che andrà lassù, poiché della mia divinità ogni luogo è pervaso… insieme a questo corpo visibile che si innalza, anche l’invisibile si solleva: io sono uno, invisibile e visibile… sono immortale e simile a voi, al di sopra di voi e in mezzo a voi…”.
Romano descrive ancora l’ascensione di Cristo con profusione di dettagli, servendosi di tutta una serie di versetti salmici che legge in chiave cristologica: “…Dio fece segno ai santi angeli che preparassero per i suoi santi piedi la salita, ed essi gridarono a tutti i principati celesti: «Sollevate i cancelli e spalancate le gloriose porte celesti per il Signore della gloria! (Sal 23,7-9). O nubi, distendetevi sotto colui che avanza (Sal 17,10). Signore il tuo trono è pronto… innalzati, vola sulle ali del vento (Sal 92,2; 103,3)»”. È da notare ancora il collegamento fatto dall’autore tra la nube che copre e nasconde Cristo allo sguardo degli apostoli e Maria sua madre: “La nuvola discese ad accogliere colui che è il condottiero delle nubi… lo prese e lo sorresse: o piuttosto fu sorretta, poiché quello stesso che era portato portava colei che lo reggeva, come una volta Maria. La Scrittura allude a Maria chiamandola nuvola (Is 19,1), ella che fu custodita da lui mentre dimorava in lei…”.
Anche all’ascensione sono gli angeli i veri annunciatori dei misteri della redenzione di Cristo agli uomini; essi, i suoi testimoni in cielo lo diventano per la Chiesa anche sulla terra: “Sono davvero testimoni fedeli dell'ascensione di Cristo costoro, poiché sono creature del cielo! Se non l’avessero visto lassù, non sarebbero discesi quaggiù per annunciarlo… Fu generato e ad annunciare la sua nascita furono gli angeli; risuscitò e ad annunciare la sua resurrezione furono gli angeli; è stato assunto in cielo e per mezzo dei buoni angeli ci ha annunciato la sua splendida ascesa dicendo: Non mi separo da voi: io sono con voi e nessuno sarà contro di voi”.

P. Manuel Nin osb
Collegio Greco / Roma
(©L'Osservatore Romano 2 giugno 2011)


Alziamo lo sguardoe i sensi verso le porte celesti

di MANUEL NIN
L'Ascensione, celebrata il quarantesimo giorno dopo la Risurrezione, è una delle grandi feste comuni a tutte le Chiese cristiane. Testimoniata già da Eusebio di Cesarea attorno al 325, nella tradizione bizantina si prolunga per una settimana nella sua ottava. Due tropari del mattutino sono dell'innografo Romano il Melode (+555) e appartengono al lungo kontàkion, inno che Romano compone per la festa e nel quale si snodano i diversi aspetti teologici della celebrazione, che porta nei libri liturgici bizantini il titolo di Ascensione del Signore e Dio e salvatore nostro Gesù Cristo.
Romano parte dalla narrazione biblica dell'ascensione nel vangelo di Luca e negli Atti degli apostoli, e la sviluppa lungo le 18 strofe del poema, ognuna delle quali si conclude sempre con lo stesso versetto: "Non mi separo da voi. Io sono con voi e nessuno sarà contro di voi", che riprende tre testi biblici (Aggeo, 1, 8, Matteo, 28, 20 e soprattutto Romani, 8, 31).
Tutta l'economia della salvezza portata a termine da Cristo è vista da Romano come la restaurazione della piena comunione tra il cielo e la terra, di cui l'Ascensione diventa il sigillo: "Compiuta l'economia a nostro favore, e congiunte a quelle celesti le realtà terrestri, sei asceso nella gloria, o Cristo Dio nostro, senza tuttavia separarti in alcun modo da quelli che ti amano; ma rimanendo inseparabile da loro, dichiari: Io sono con voi, e nessuno è contro di voi".
L'ascensione del Signore, inoltre, non è un allontanarsi dagli uomini, un lasciarli soli, bensì un pegno del suo amore, della sua consolazione: "Eleviamoci, leviamo in alto occhi e mente, alziamo lo sguardo e i sensi verso le porte celesti, pur essendo mortali; immaginiamo di andare al monte degli Ulivi e di vedere il Redentore portato da una nube: di là, lui che ama donare, ha distribuito doni ai suoi apostoli, consolandoli come un padre, guidandoli come figli e dicendo loro: Non mi separo da voi: io sono con voi e nessuno è contro di voi".
Romano si sofferma poi sulla protezione e la cura che il Signore ha avuto e ha dei discepoli e della Chiesa. Con un'immagine presa dal Deuteronomio (32, 11), Cristo sul monte dell'ascensione è paragonato all'aquila che dall'alto sorveglia e protegge la sua nidiata, immagine che la tradizione bizantina poi applica anche alla cura del vescovo verso la sua chiesa: "I discepoli, condotti sul monte degli Ulivi, circondavano il loro benefattore, e lui stendendo le mani come ali, coprì come un'aquila il nido affidato alle sue cure e disse ai suoi uccellini: Vi ho protetti da ogni male: amatevi dunque come io vi ho amati. Non mi separo da voi: io sono con voi e nessuno sarà contro di voi. Come Dio e Creatore dell'universo io stendo sopra di voi le mie mani, quelle legate e inchiodate sul legno. Nel chinare il vostro capo sotto queste mani voi riconoscete quel che faccio: io impongo su voi le mie mani come battezzandovi e vi mando pieni di luce e di saggezza".
L'ascensione provoca la tristezza e il lamento degli apostoli che presentano a Cristo l'elenco di ciò che ognuno di essi ha fatto e lasciato, quasi un modello delle condizioni richieste al cristiano: "Abbiamo rinunciato a tutta la nostra vita, siamo diventati stranieri e pellegrini sulla terra. Pietro, il primo tra di noi a farsi tuo seguace, si privò di tutti i suoi averi. Andrea suo fratello abbandonò i suoi beni terreni e si caricò sulle spalle la tua croce. Tu vuoi trascurare e disdegnare l'amore dei figli di Zebedeo? Essi ti anteposero perfino il loro padre. Noi amiamo te più di ogni altro".
Romano descrive ancora l'ascensione di Cristo con profusione di dettagli, servendosi di versetti dei Salmi letti in chiave cristologica: "Dio fece segno ai santi angeli che preparassero per i suoi santi piedi la salita, ed essi gridarono a tutti i principati celesti: Sollevate i cancelli e spalancate le gloriose porte celesti per il Signore della gloria! O nubi, distendetevi sotto colui che avanza. Signore, il tuo trono è pronto. Innalzati, vola sulle ali del vento". È da notare ancora il collegamento tra la nube che copre e nasconde Cristo allo sguardo degli apostoli e Maria sua madre: "La nuvola discese ad accogliere colui che è il condottiero delle nubi, lo prese e lo sorresse: o piuttosto fu sorretta, poiché quello stesso che era portato portava colei che lo reggeva, come una volta Maria. La Scrittura allude a Maria chiamandola nuvola [cfr. Isaia 19, 1], ella che fu custodita da lui mentre dimorava in lei".

P. Manuel Nin osb
Collegio Greco / Roma

(©L'Osservatore Romano 2 giugno 2011)