miércoles, 9 de agosto de 2017

Oggi l’albero della croce ci riveste dell'abito della vita
Il cànone di Cosma di Maiouma per la festa della Esaltazione della santa Croce
L’innografia cristiana orientale, specialmente quella di tradizione siriaca e quella di tradizione bizantina, hanno molti testi liturgici in cui si canta la croce di Cristo. Essa viene sempre presentata come luogo di vittoria: di Cristo sulla morte, della vita sulla morte, luogo di morte della morte. Vorrei soffermarmi nel cànone di Cosma di Maiouma (675–752) che troviamo nell’ufficiatura mattutina di tradizione bizantina per la festa dell'esaltazione della Santa Croce il 14 settembre. Cosma era originario di Damasco; preso in adozione nella famiglia di Giovanni Damasceno fu educato assieme a lui e divenne monaco nel monastero di San Sabba. Fu eletto poi vescovo di Maiouma, vicino a Gaza. È autore di diverse composizioni liturgiche entrate a far parte dell'eucologia di tradizione bizantina.
Il cànone è una composizione poetica cantata nell’ufficiatura del mattutino bizantino, che prende il posto dei cantici biblici veterotestamentari previsti per quest’ora di preghiera. Cosma commenta, lungo tutte le otto odi del cànone, i diversi passi dell'Antico Testamento che la tradizione cristiana ha visto e interpretato come prefigurazioni e profezie della croce di Cristo. Nella prima ode è Mosè che, benedicendo il Mar Rosso, prefigura la croce vittoriosa: “Tracciando una croce, Mosè, col bastone ver­ticale, divise il Mar Rosso per Israele che lo passò a piedi asciutti, poi lo riunì su se stesso con frastuono volgendolo contro i carri di faraone, di­segnando, orizzontalmente, l’arma invincibile”. Nell’ode quinta è Giona che pregando con le braccia stese nel ventre del pesce prefigura la passione, la morte e la risurrezione di Cristo stesso: “Nelle viscere del mostro marino, Giona stendendo le palme a forma di croce, chiara­mente prefigurava la salvifica passione: perciò uscendo il terzo giorno, rappre­sentò la risurrezione ultra­mondana del Cristo Dio crocifisso nella carne che con la sua risurrezione il terzo giorno ha illuminato il mondo”.
         Tutta la prima ode, che prende spunto dal cantico di Mosè in Es 15, 1-19, offre a Cosma l’occasione di riprende i grandi momenti della vita del profeta, momenti che tutta la tradizione cristiana ha interpretato come prefigurazioni della croce. Oltre a quello di Mosè benedicente sul Mar Rosso, di cui abbiamo fatto già accenno, troviamo Mosè con le braccia stese contro Amalek; Mosè che innalza il serpente velenoso sul legno; Mosè infine che tocca col bastone la roccia e addolcisce le acque che ne sgorgano: “Stando in mezzo ai due sacerdoti, Mosè prefigurò un tempo in se stesso l’immacolata passione. Atteggiandosi poi a forma di croce, elevò il trofeo con le braccia spalan­cate, annientando il potere del malvagio Amalek… Mosè pose su una colonna il rimedio che salvava dal morso velenoso e distruttore: al legno immagine della croce legò trasversalmente il serpente che striscia per terra, e con questo trionfò del flagello… Un tempo Mosè, con un legno, trasformò nel deserto le sorgenti amare, prefigurando il passaggio delle genti alla pietà, grazie alla croce”.
         Diverse volte lungo tutto il cànone, Cosma ci presenta il parallelo tra la croce e l’albero del paradiso: in esso Adamo si scoprì spogliato; nella Chiesa, grazie all’albero della croce, ogni battezzato si scopre rivestito dell'abito della vita che è Cristo stesso: “Nel paradiso un tempo un albero mi ha spogliato, perché facendomene gustare il frutto, il nemico ha introdotto la morte; ma l’albero della croce, che porta agli uomini l’abito della vita, è stato piantato sulla terra, e tutto il mondo si è riempito di ogni gioia; vedendolo in­nal­­zato, o popoli, con fede acclamiamo concordi a Dio: Piena di gloria è la tua casa”. La croce diventa allora forza ed arma della Chiesa stessa: “Una verga è assunta come figura del mistero… per la Chiesa un tempo sterile, è fiorito ora l’albero della croce, come forza e sostegno… La dura roccia colpita dalla verga, facendo scaturire acqua per un popolo ribelle e duro di cuore, mani­fe­stava il mistero della Chiesa eletta da Dio, di cui la cro­ce è forza e sostegno… Il fianco immacolato colpito dalla lancia fece scaturire acqua e sangue, inaugurando l’alleanza e  lavando i pec­cati: la croce è infatti vanto dei credenti”.
            A partire dell'immagine della croce come albero della vita di cui pende il vero frutto che è lo stesso Cristo, Cosma sviluppa in primo luogo il tema del Cristo crocefisso come esca per “cacciare e far cadere” il nemico che nel paradiso diventa ingannatore con un albero e un frutto: “O albero beatissimo, su cui è stato steso Cristo, Re e Signore! Per te è caduto colui che con un albero aveva ingannato, è stato adescato da Dio che nella carne in te è stato confitto, e che dona la pace alle anime nostre”. Poi Cosma riprende nella stessa quinta ode il tema, comune anche nella tradizione siriaca, della croce come vittoria sul cherubino con in mano la spada fiammeggiante che custodisce l’ingresso del paradiso: “Di fronte a te, albero celebrato su cui fu steso Cristo, ha avuto timore, o croce, la spada roteante che custodiva l’Eden, e si è ritratto il temibile cherubino, di fronte al Cristo in te confitto, che elargisce la pace alle anime nostre”.
            L’autore, in tutto il cànone, sottolinea diverse volte da una parte la professione di fede trinitaria, a partire da immagini veterotestamentarie: “Benedite, fanciulli, pari in numero alla Trinità, Dio Padre Creatore, inneggiate al Verbo che è disceso, e ha mutato il fuoco in rugiada; e sovresaltate per i secoli lo Spirito santissimo, che elar­gi­sce vita a tutti”. D’altra parte, mette anche in evidenza la vera incarnazione del Verbo di Dio, crocefisso, morto e risorto: “Mentre viene innalzato l’albero irrorato dal sangue del Verbo di Dio incarnato, inneggiate, schiere dei cieli, fe­steg­giando il riscatto dei mortali. Adorate, popoli, la croce di Cristo, per la quale è data al mondo la risurrezione… Figli della terra, dispensatori della grazia, con le vostre mani innalzate, con sacro decoro, la croce su cui stette il Cristo Dio e la lancia che trafisse il corpo del Dio Verbo…”.
        Infine il parallelo Chiesa – paradiso che Cosma ha sviluppato in diverse della strofe, lo porta nella nona ode a sviluppare quello di Maria – paradiso: “Sei mistico paradiso che, senza coltivazione, o Madre di Dio, ha prodotto il Cristo, dal quale è stato piantato sulla terra l’albero vivificante della croce: ado­rando lui, per essa che ora viene esaltata, noi ma­gni­fichiamo te... Esultino tutti gli alberi del bosco, perché la loro natura è stata santificata da colui che nel principio l’ha piantata, Cristo, disteso sul legno. Per questo noi lo magnifichiamo”.

P. Manuel Nin
Pontificio Collegio Greco
Roma



Oggi la croce ci riveste
dell'abito della vita
di MANUEL NIN
L'innografia cristiana orientale, specialmente nella tradizione siriaca e in quella bizantina, canta la croce di Cristo presentandola sempre come luogo di vittoria sulla morte. Nell'ufficiatura mattutina bizantina per la festa dell'Esaltazione della santa Croce il 14 settembre si trova un canone di Cosma di Maiouma (675-752). Originario di Damasco e adottato dalla famiglia di Giovanni Damasceno, fu con lui educato; monaco nel monastero di San Saba e poi vescovo di Maiouma, vicino Gaza, è autore di composizioni liturgiche entrate nell'eucologia bizantina.

Nel mattutino, il canone prende il posto dei cantici biblici veterotestamentari e Cosma vi commenta i passi veterotestamentari interpretati come prefigurazioni e profezie della croce di Cristo.
Già Mosè prefigura la croce vittoriosa: "Tracciando una croce, Mosè, col bastone verticale, divise il Mar Rosso per Israele che lo passò a piedi asciutti, poi lo riunì su se stesso con frastuono volgendolo contro i carri di faraone, disegnando, orizzontalmente, l'arma invincibile". Poi Giona, pregando con le braccia stese nel ventre del pesce, prefigura la passione e la risurrezione di Cristo: "Nelle viscere del mostro marino, Giona stendendo le palme a forma di croce, chiaramente prefigurava la salvifica passione: perciò uscendo il terzo giorno, rappresentò la risurrezione ultramondana del Cristo Dio crocifisso nella carne che con la sua risurrezione il terzo giorno ha illuminato il mondo".
Cosma vede i grandi momenti della vita di Mosè come prefigurazioni della croce: "Stando in mezzo ai due sacerdoti, Mosè prefigurò un tempo in se stesso l'immacolata passione. Atteggiandosi poi a forma di croce, elevò il trofeo con le braccia spalancate, annientando il potere del malvagio Amalek. Mosè pose su una colonna il rimedio che salvava dal morso velenoso e distruttore: al legno immagine della croce legò trasversalmente il serpente che striscia per terra, e con questo trionfò del flagello. Un tempo Mosè, con un legno, trasformò nel deserto le sorgenti amare, prefigurando il passaggio delle genti alla pietà, grazie alla croce".
Diverse volte Cosma mette in parallelo la croce e l'albero del paradiso: "Nel paradiso un tempo un albero mi ha spogliato, perché facendomene gustare il frutto, il nemico ha introdotto la morte; ma l'albero della croce, che porta agli uomini l'abito della vita, è stato piantato sulla terra, e tutto il mondo si è riempito di ogni gioia". La croce diventa allora arma della Chiesa: "Una verga è assunta come figura del mistero; per la Chiesa un tempo sterile, è fiorito ora l'albero della croce, come forza e sostegno. La dura roccia colpita dalla verga, facendo scaturire acqua per un popolo ribelle e duro di cuore, manifestava il mistero della Chiesa eletta da Dio, di cui la croce è forza e sostegno. Il fianco immacolato colpito dalla lancia fece scaturire acqua e sangue, inaugurando l'alleanza e lavando i peccati: la croce è infatti vanto dei credenti".
Dall'immagine della croce come albero della vita, Cosma sviluppa il tema del Cristo crocefisso come esca per il nemico che nel paradiso diventa ingannatore con un albero e un frutto: "O albero beatissimo, su cui è stato steso Cristo, re e Signore! Per te è caduto colui che con un albero aveva ingannato, è stato adescato da Dio che nella carne in te è stato confitto, e che dona la pace alle anime nostre". Poi viene ripreso il tema della croce come vittoria sul cherubino con la spada fiammeggiante che custodisce l'ingresso del paradiso: "Di fronte a te, albero celebrato su cui fu steso Cristo, ha avuto timore, o croce, la spada roteante che custodiva l'Eden, e si è ritratto il temibile cherubino, di fronte al Cristo in te confitto, che elargisce la pace alle anime nostre".
In tutto il canone l'autore sottolinea la professione di fede trinitaria a partire da immagini veterotestamentarie: "Benedite, fanciulli, pari in numero alla Trinità, Dio Padre creatore, inneggiate al Verbo che è disceso, e ha mutato il fuoco in rugiada; e sovraesaltate per i secoli lo Spirito santissimo, che elargisce vita a tutti". D'altra parte mette in evidenza l'Incarnazione: "Mentre viene innalzato l'albero irrorato dal sangue del Verbo di Dio incarnato, inneggiate, schiere dei cieli, festeggiando il riscatto dei mortali. Adorate, popoli, la croce di Cristo, per la quale è data al mondo la risurrezione".
Infine dal parallelo tra Chiesa e paradiso si sviluppa quello tra Maria e paradiso: "Sei mistico paradiso che, senza coltivazione, o Madre di Dio, ha prodotto il Cristo, dal quale è stato piantato sulla terra l'albero vivificante della croce: adorando lui, per essa che ora viene esaltata, noi magnifichiamo te. Esultino tutti gli alberi del bosco, perché la loro natura è stata santificata da colui che nel principio l'ha piantata, Cristo, disteso sul legno. Per questo noi lo magnifichiamo".

P. Manuel Nin
Pontificio Collegio Greco
Roma

(©L'Osservatore Romano 14 settembre 2011)