L’Annunciazione del Signore.
Iconografia e innografia nella tradizione bizantina.
Oggi Colui che non ha carne,
prende carne da Maria….
L’iconografia del 25 marzo viene
cantata dalla stessa innografia liturgica della festa. Tutti i tropari sono
quasi dei dialoghi tra l’arcangelo Gabriele e Maria. Soprattutto nei tre primi tropari
dell’ufficiatura del vespro troviamo come una lettura liturgica
dell'’iconografia della festa. Nel primo dei tropari l’arcangelo saluta la
vergine con sette “gioisci” che introducono tutta una serie di temi
cristologici presi da immagini dell’Antico Testamento: “Per rivelarti l=eterno consiglio, si
presentò Gabriele, o Vergine, salutandoti e così parlando: Gioisci, terra non
seminata; gioisci, roveto incombusto; gioisci, abisso imperscrutabile; gioisci,
ponte che fa passare ai cieli e scala elevata contemplata da Giacobbe; gioisci,
divina urna della manna; gioisci, liberazione dalla maledizione; gioisci,
ritorno di Adamo dall=esilio…”. Tutta una serie
di immagini che troviamo poi più sviluppate nell’inno Akathistos, collegato
anch’esso alla festa dell'’Annunciazione. La presenza unica di Gabriele nell’indirizzarsi,
nel parlare alla vergine, viene contrastata dal secondo dei tropari dove si
sviluppa la risposta di Maria; manifesta lo stupore davanti alle parole di
colui, l’arcangelo, che gli appare sotto forma quasi umana. Maria stessa
applica a se stessa le immagini prese dai salmi e che vengono applicate al
mistero dell'’incarnazione del Verbo di Dio: “Mi appari come uomo, disse la
Vergine incorrotta al principe dell=esercito celeste: come
dunque pronunci parole che oltrepassano l=uomo? Mi hai detto infatti
che Dio sarà con me e prenderà dimora nel mio grembo: ma, dimmi, come potrò
divenire ampio spazio e luogo di santità per colui che cavalca i cherubini? Non
trarmi in inganno: non ho conosciuto piacere, sono estranea a nozze, come
dunque partorirò un figlio?” Risposta di Maria diventa professione di fede
della stessa Chiesa nell’incarnazione del Verbo di Dio. Il terzo tropario del
vespro quindi riprende sia la risposta dell'arcangelo sia l’assenso della Madre
di Dio: “Quando Dio vuole, l=ordine della natura è
superato, rispose l=incorporeo, e si opera ciò
che oltrepassa l=uomo. Credi alle mie veraci
parole, o santissima più che immacolata. Ed essa esclamò: Mi avvenga dunque,
secondo la tua parola, e io partorirò colui che non ha carne, che da me
prenderà la carne per ricondurre l=uomo, grazie a questa
unione, alla dignità antica: egli è il solo potente”. Notiamo la bella
espressione cristologica messa nelle labbra di Maria: “colui che non ha carne…
da me prende carne…”.
L’ultimo dei tropari della prima parte del vespro mette
in bocca dell'’arcangelo la meditazione dell'incarnazione del Verbo di Dio a
partire da immagini quasi opposte l’una all’altra e prese tutte da testi veterotestamentari:
“Fu mandato dal cielo l=arcangelo Gabriele ad
annunciare alla Vergine il concepimento. Giunto a Nazaret, rifletteva in se
stesso sul prodigio e ne era sbigottito: Dunque l=inafferrabile che è nel più
alto dei cieli nasce da una vergine! Colui che ha il cielo per trono e la terra
come sgabello si rinchiude nel grembo di una donna! Colui che i serafini dalle
sei ali e i cherubini dai molti occhi non possono fissare, si compiace di
incarnarsi da lei in virtú della sola parola. Colui che qui è presente è il
Verbo di Dio. Che attendo dunque, perché non parlo alla fanciulla? Gioisci,
piena di grazia, il Signore è con te; gioisci, Vergine pura; gioisci sposa
senza nozze; gioisci, Madre della vita…”.
Ancora dell'’ufficiatura del vespro abbiamo l’ultimo dei
tropari, opera di sant’Andrea di Creta (VII-VIII sec.), e che diventa una lunga
contemplazione della icona stessa della festa, collegandola con tutta
l’economia di Dio nel suo amore verso l’uomo, da Adamo fino al Verbo incarnato.
In primo luogo troviamo il tema della liberazione di Adamo ed Eva, che a sua
volta un preannuncio della vittoria pasquale di Cristo stesso: “Adamo è
rinnovato; Eva è liberata dalla tristezza di prima…”. Poi il tema della
divinizzazione dell'’uomo: “…la dimora della nostra stessa sostanza, deificata
da ciò che ha concepito, è divenuta tempio di Dio. O mistero! Ignoto il modo
del divino annientamento, ineffabile il modo del concepimento…”. Quindi la
professione di fede trinitaria; l’Incarnazione del Verbo coinvolge tutta la
Trinità, presente nell’icona attraverso il triplice raggio che scende
dall’alto: “Le realtà della terra si congiungono a quelle del cielo… Un angelo
è ministro del prodigio; un grembo verginale accoglie il Figlio; lo Spirito Santo
viene inviato; il Padre dall=alto esprime il suo
beneplacito, e si opera questo incontro per il loro comune volere…”. La natura
umana, assunta dal Verbo nella sua incarnazione, viene innalzata e salvata: “In
esso e per esso salvàti, ad una sola voce con Gabriele, acclamiamo alla
Vergine: Gioisci, o piena di grazia dalla quale ci viene la salvezza, Cristo
Dio nostro che, assunta la nostra natura, a sé l=ha innalzata…”.
P. Manuel Nin
Pontificio Collegio Greco
Roma
Colui che non ha carne prende carne da Maria
di Manuel
Nin
La festa dell’Annunciazione della
Santissima Madre di Dio e sempre vergine Maria, ha il suo fondamento biblico
nei Vangeli, specialmente in quello di Luca, ed è l’unica grande festa che
troviamo lungo la Quaresima
nella tradizione bizantina. Si tratta di un’antica festa cristiana, introdotta
in ambito costantinopolitano attorno al 530. L’icona della festa è molto
semplice e si potrebbe dire essenziale; contiene i due personaggi della
narrazione evangelica: l’arcangelo Gabriele in atteggiamento annunziante,
recando nelle mani uno scettro regale, e la vergine Maria in atteggiamento
accogliente della parola dell’arcangelo, del Verbo di Dio, con una o le due
mani alzate in gesto di preghiera. Dall’alto dell’icona al centro un raggio che
si triplica con una colomba al centro scendendo su Maria indica la forza di Dio
che la copre con la sua ombra.
L’iconografia
del 25 marzo viene cantata dalla stessa innografia liturgica della festa. Tutti
i tropari sono quasi dei dialoghi tra l’arcangelo Gabriele e Maria. Soprattutto
nei tre primi tropari dell’ufficiatura del vespro troviamo come una lettura
liturgica dell’iconografia della festa. Nel primo dei tropari l’arcangelo
saluta la vergine con sette “gioisci” che introducono tutta una serie di temi
cristologici presi da immagini dell’Antico Testamento: «Per rivelarti l’eterno
consiglio, si presentò Gabriele, o Vergine, salutandoti e così parlando: Gioisci,
terra non seminata; gioisci, roveto incombusto; gioisci, abisso
imperscrutabile; gioisci, ponte che fa passare ai cieli e scala elevata
contemplata da Giacobbe; gioisci, divina urna della manna; gioisci, liberazione
dalla maledizione; gioisci, ritorno di Adamo dall’esilio». Tutta una serie di
immagini che troviamo poi più sviluppate nell’inno Akathistos, collegato
anch’esso alla festa dell’Annunciazione. La presenza unica di Gabriele
nell’indirizzarsi, nel parlare alla vergine, viene contrastata dal secondo dei
tropari dove si sviluppa la risposta di Maria; manifesta lo stupore davanti
alle parole di colui, l’arcangelo, che gli appare sotto forma quasi umana.
Maria stessa applica a se stessa le immagini prese dai salmi e che vengono
applicate al mistero dell’incarnazione del Verbo di Dio: «Mi appari come uomo,
disse la Vergine
incorrotta al principe dell’esercito celeste: come dunque pronunci parole che
oltrepassano l’uomo? Mi hai detto infatti che Dio sarà con me e prenderà dimora
nel mio grembo: ma, dimmi, come potrò divenire ampio spazio e luogo di santità
per colui che cavalca i cherubini? Non trarmi in inganno: non ho conosciuto
piacere, sono estranea a nozze, come dunque partorirò un figlio?».
La
risposta di Maria diventa professione di fede della stessa Chiesa
nell’incarnazione del Verbo di Dio. Il terzo tropario del vespro quindi
riprende sia la risposta dell’arcangelo sia l’assenso della Madre di Dio:
«Quando Dio vuole, l’ordine della natura è superato, rispose l’incorporeo, e si
opera ciò che oltrepassa l’uomo. Credi alle mie veraci parole, o santissima più
che immacolata. Ed essa esclamò: Mi avvenga dunque, secondo la tua parola, e io
partorirò colui che non ha carne, che da me prenderà la carne per ricondurre
l’uomo, grazie a questa unione, alla dignità antica: egli è il solo potente».
Notiamo la bella espressione cristologica messa nelle labbra di Maria: «colui
che non ha carne (...) da me prende carne».
L’ultimo
dei tropari della prima parte del vespro mette in bocca dell’arcangelo la
meditazione dell’incarnazione del Verbo di Dio a partire da immagini quasi
opposte l’una all’altra e prese tutte da testi veterotestamentari: «Fu mandato
dal cielo l’arcangelo Gabriele ad annunciare alla Vergine il concepimento.
Giunto a Nazaret, rifletteva in se stesso sul prodigio e ne era sbigottito:
Dunque l’inafferrabile che è nel più alto dei cieli nasce da una vergine! Colui
che ha il cielo per trono e la terra come sgabello si rinchiude nel grembo di
una donna! Colui che i serafini dalle sei ali e i cherubini dai molti occhi non
possono fissare, si compiace di incarnarsi da lei in virtú della sola parola.
Colui che qui è presente è il Verbo di Dio. Che attendo dunque, perché non
parlo alla fanciulla? Gioisci, piena di grazia, il Signore è con te; gioisci, Vergine
pura; gioisci sposa senza nozze; gioisci, Madre della vita».
Ancora
dell’ufficiatura del vespro abbiamo l’ultimo dei tropari, opera di sant’Andrea
di Creta (VII-VIII secolo), e che
diventa una lunga contemplazione della icona stessa della festa, collegandola
con tutta l’economia di Dio nel suo amore verso l’uomo, da Adamo fino al Verbo
incarnato. In primo luogo troviamo il tema della liberazione di Adamo ed Eva
che, a sua volta, è un preannuncio della vittoria pasquale di Cristo stesso:
«Adamo è rinnovato; Eva è liberata dalla tristezza di prima». Poi il tema della
divinizzazione dell’’uomo: «la dimora della nostra stessa sostanza, deificata
da ciò che ha concepito, è divenuta tempio di Dio. O mistero! Ignoto il modo
del divino annientamento, ineffabile il modo del concepimento». Quindi la
professione di fede trinitaria; l’Incarnazione del Verbo coinvolge tutta la Trinità , presente
nell’icona attraverso il triplice raggio che scende dall’alto: «Le realtà della
terra si congiungono a quelle del cielo (...) Un angelo è ministro del
prodigio; un grembo verginale accoglie il Figlio; lo Spirito Santo viene
inviato; il Padre dall’alto esprime il suo beneplacito, e si opera questo
incontro per il loro comune volere». La natura umana, assunta dal Verbo nella sua
incarnazione, viene innalzata e salvata: «In esso e per esso salvàti, ad una
sola voce con Gabriele, acclamiamo alla Vergine: Gioisci, o piena di grazia
dalla quale ci viene la salvezza, Cristo Dio nostro che, assunta la nostra
natura, a sé l’ha innalzata».
P. Manuel Nin
Pontificio Collegio Greco
Roma