Gli Inni
sul Digiuno di sant’Efrem di Nisibi.
Oggi digiuna
la nostra bocca e digiuna anche il nostro cuore.
La traduzione italiana degli Inni
sul digiuno di sant'Efrem il Siro apparsa nel 2011, ci offre l'occasione di
approfondire alcuni aspetti dell'opera del diacono siro assai importanti per
poter capire la teologia, la liturgia, la spiritualità di una Chiesa orientale nella
seconda metà del IV secolo. La collezione di Inni sul digiuno di Efrem
di Nisibi è composta da una decina di testi poetici, con una sorta di appendice
che contiene altri quattro inni, di autenticità più dubbiosa.
Tutti gli Inni di questa raccolta
hanno una chiara unità tematica che fa di essi quasi un unicum
nell'opera efremiana: il loro nucleo ispiratore comune è costituito infatti dal
digiuno, considerato, quest'ultimo, sotto angolature diverse. Anzitutto Efrem mette
in rilievo il modello del digiunante, Cristo stesso, che lo ha osservato per
quaranta giorni nel deserto: “Questo è il
digiuno del Primogenito, l’inizio dei suoi trionfi. Rallegriamoci della sua
venuta! Con il digiuno, infatti, egli ottenne la vittoria, sebbene in ogni modo
potesse ottenerla. A noi mostrò la forza che è celata nel digiuno, che vince
tutto. Con esso, infatti, si sconfigge colui che, con il frutto, sconfisse
Adamo: pure con avidità l’inghiottì! Benedetto sia il Primogenito, che eresse
il muro del suo grande digiuno attorno alla nostra debolezza”. Il digiuno di
Cristo nel deserto viene così collegato con quello dei cristiani nel periodo
che precede la celebrazione della vittoria di Cristo sulla morte e la sua
risurrezione.
Nei diversi inni,
Efrem predilige come esempi di digiunanti molti personaggi dell'Antico
Testamento. Essi sono presentati sia come modelli per i cristiani sia come
figure e precursori di Cristo stesso. Nello stesso tempo, per esaltare il digiuno come un “frutto
bello”, che può tuttavia diventare guasto se non è praticato con la più sincera
ispirazione, l'autore si serve anche di
immagini tratte dalla natura che lo circonda: “Osserva la natura, nel caso in cui siano stati
contaminati frutti allettanti in qualcosa infetto! Il nostro senso ne prova
disgusto, (anche) una volta che siano stati ben lavati”. Oppure, allo stesso
scopo esortativo, Efrem si avvale anche di immagini proprie della realtà
quotidiana della vita: “Benedetto colui che ci donò un’immagine, in cui, se ben
guardiamo, si trova lo specchio per la nostra invisibile unità. Vediamola, miei
fratelli, nei simboli delle cose visibili. Osserviamo il caglio: se è immesso
nel latte liquido, non cola più la sua liquidità, poiché si rapprende insieme
alla forza coagulante. Benedetto sia colui che ci donò l’amore, che innesta una
forza invisibile nella nostra debolezza”. Nei testi di Efrem scorre dunque
tutta una serie di bellissime immagini che ci mostrano la sua capacità di
guardare e penetrare a fondo il mondo creato, la sua capacità di vedere i
simboli che in esso si nascondono e di cui servirsi come saggi ammaestramenti: “Esaminate
(gli effetti) della carne su un volatile! Se ne mangia una grande quantità essa
fiacca la sua ala appesantendola, ed esso non può volare, come in precedenza.
Se l’aquila che (vola) più (in) alto di tutti è stata troppo vorace, non può
più librarsi nell’aria nel modo di (prima). Poiché un (organismo) leggero, con
(la carne), aumenta il suo peso, quanto più uno pesante, che ne mangia, sarà
appesantito”.
In questi Inni Efrem
presenta il digiuno come vittoria di Cristo su colui che vinse a sua volta
Adamo col frutto dell'albero. Il digiuno di Cristo stesso nel deserto precederà
la sua vittoria contro il nemico: “Questo è il
digiuno a causa del quale l’avidità dimise i popoli sulla cima del monte.
Rivestito (dei) digiuni egli vinse l’Avido, che s’era rivestito (del) cibo
della stirpe di Adamo. Il capo dei vittoriosi ci diede la sua arma e fu elevato
alle altezze per divenire osservatore (attento delle nostre battaglie). Chi non
correrà all’armi con cui Dio ottenne la vittoria? È vergognoso, miei fratelli,
soccombere con l’arma, che vinse e rese vittorioso tutto il creato!”. Il digiuno quindi è l'arma con cui il
Signore stesso ottenne la vittoria contro il nemico. La vittoria ottenuta col
digiuno deve rendere l'uomo attento a non cadere di nuovo nelle mani del nemico
che, con astuzia, getta le sue trappole e tende a sua volta le sue armi: “Non date credito, o semplici, all’Ingannatore, che
deruba i digiunanti! Infatti, chi vede astenersi dal pane, (l’Ingannatore) lo
riempie di collera; a chi vede in preghiera insinua un pensiero dopo l’altro e,
furtivamente, gli sottrae dal cuore la preghiera della sua bocca. Nostro
Signore, donaci l’occhio (in grado) di vedere come (quegli) derubi la verità
con frode”.
Il digiuno ancora
è presentato da Efrem come vittoria che porta il cristiano alla purificazione e
alla visione di Dio; qui troviamo un tema caro a Efrem e agli autori siriaci a
lui posteriori, quello della purezza di cuore che conduce, quale culmine d’un
cammino di elevazione spirituale, alla visione di Dio. Questo è il gradino più
alto che l'uomo può attingere: “Questo è il
digiuno che eleva in alto: sorse dal Primogenito per elevare in alto i piccoli.
Per chi è accorto il digiuno è motivo di gioia, vedendo quanto sia stato
elevato in alto. Il digiuno purifica invisibilmente l’anima, perché possa
contemplare Dio ed elevarsi alla sua visione…”. Nello stesso tempo, però, Efrem non
esita a biasimare il digiuno compiuto nell'ignoranza, perché non porta alla
“visione” ma alla “cecità” chi lo pratica, fino ad uccidere il vero Agnello
pasquale: “Venite, ricordiamo,
digiunando, cosa fecero gli stolti durante i loro digiuni! (…) A Pasqua
uccisero il Signore della Pasqua. Nella festa immolarono il Signore delle
feste. (…) leggevano senza capire e spiegavano senza percepirne (il senso)!
Lessero nelle Scritture; (lo) appesero sul legno. Le figure nei libri; la
verità sul legno. Crocifissero l’Agnello di verità e (lo) appesero (…) (Lo)
avevano crocifisso i ciechi, che si accesero d’invidia e, disorientati,
errarono. (…) In mezzo ai crocifissori visibili stava una comunità spirituale,
invisibilmente”. Inoltre Efrem, offre una bella lettura simbolico-mistagogica
dei fatti anticotestamentari letti alla luce del Nuovo Testamento: “Mosè stava
(là) con le sue braccia stese e il suo bastone sul petto. Stupore sulla cima
del monte: steso il braccio e il bastone innalzato, come sul Golgota. Un loro
testimone esclamò a loro riguardo: questo simbolo ha vinto Amalek. L’alleanza
di Mosè, infatti, era come uno specchio: essa rifletteva nostro Signore. O
verità che, anche ai ciechi, gridò: Qui sono io! I ciechi, avendola toccata,
videro la luce; i vedenti, avendola scrutata, divennero ciechi, poiché
crocifissero la luce”.
Il digiuno è
maestro, oppure allenatore nella lotta: “Questo
è il digiuno istruttore, che insegna all’atleta le mosse della lotta. Accostatelo,
praticate(lo), apprendete il combattimento accorto. Ecco, egli ci ordinò che la
nostra bocca digiunasse e digiunasse anche il nostro cuore. Non digiuniamo dal
pane (se) nutriamo pensieri…”. Diverse volte, in questi inni, Efrem mette in guardia di
fronte al falso digiuno, all'ipocrisia di chi ostenta esteriormente di
digiunare, mentre il suo cuore è attaccato al male che non si vede: “L’Isaia eloquente si fece predicatore per biasimare i
digiunanti: Grida e proclama! L’orecchio chiuso non si apre che al suono
dell’argento! Non digiunare, mentre divori (i beni del)l’orfano! Non vestire
l’abito di sacco, mentre spogli la vedova! Non piegare il tuo collo, mentre
soggioghi degli esseri nati liberi! Un digiuno, che fa gemere e opprime, rende
manifesti gli idoli che si celano in una tale prepotenza”.
In questi inni Efrem sembra quasi ricorrere a una forma
di personificazione del digiuno; in esso, egli si riferisce ovviamente al
digiuno come a una pratica ascetica, ma di certo pensa anche al Digiunante per eccellenza,
Cristo stesso che è Colui che salva, arricchisce, libera, abbellisce, dà la
vera gioia.
P. Manuel Nin
Pontificio Collegio Greco
Roma
Negli inni di sant’Efrem di Nisibi
Oggi digiunano
bocca e cuore
bocca e cuore
Gli Inni sul
digiuno di Efrem di Nisibi sono una decina di testi poetici con una chiara
unità tematica che ne fa quasi un unicum: il loro nucleo ispiratore comune è
costituito infatti dal digiuno considerato sotto angolature diverse. Anzitutto
si mette in luce il modello osservato in Cristo per quaranta giorni nel
deserto: «Questo è il digiuno del Primogenito, l’inizio dei suoi trionfi. Rallegriamoci della
sua venuta!
Con il digiuno, infatti, egli ottenne la vittoria, sebbene in ogni
modo potesse ottenerla. A noi
mostrò la forza che è celata nel digiuno, che vince tutto. Con esso, infatti,
si sconfigge colui che, con il frutto, sconfisse Adamo: pure con avidità
l’inghiottì! Benedetto sia il Primogenito, che eresse il muro del suo grande
digiuno attorno alla nostra debolezza».
Come esempi di
digiunanti molti personaggi dell’Antico Testamento sono presentati sia come
modelli per i cristiani sia come figure e precursori di Cristo stesso. Nello
stesso tempo, per esaltare il digiuno come un «frutto bello» — che può tuttavia
diventare guasto se non è praticato con la più sincera ispirazione — l’autore
si serve anche di immagini tratte da ciò che lo circonda: «Osserva la natura,
nel caso in cui siano stati contaminati frutti allettanti in qualcosa infetto!
Il nostro senso ne prova disgusto, una volta che siano stati ben lavati».
Oppure si avvale di immagini della quotidianità: «Benedetto colui che ci donò
un’immagine, in cui, se ben guardiamo, si trova lo specchio per la nostra
invisibile unità. Vediamola, miei fratelli, nei simboli delle cose visibili.
Osserviamo il caglio: se è immesso nel latte liquido, non cola più la sua
liquidità, poiché si rapprende insieme alla forza coagulante».
Nei testi di
Efrem scorrono dunque una serie di bellissime immagini che mostrano la sua
capacità di guardare e penetrare a fondo il mondo creato, di vederne i simboli
in esso celati e di cui servirsi come saggi ammaestramenti: «Esaminate gli
effetti della carne su un volatile! Se ne mangia una grande quantità essa
fiacca la sua ala appesantendola, ed esso non può volare, come in precedenza.
Se l’aquila che vola più in alto di tutti è stata troppo vorace, non può più
librarsi nell’aria nel modo di prima. Poiché un organismo leggero con la carne
aumenta il suo peso, quanto più uno pesante, che ne mangia, sarà appesantito».
Efrem presenta
il digiuno come vittoria di Cristo su colui che vinse a sua volta Adamo col
frutto dell’albero. Il digiuno di Cristo stesso nel deserto precederà la sua
vittoria contro il nemico, e quindi è l’arma con cui il Signore ottenne la
vittoria. La vittoria ottenuta col digiuno deve rendere l’uomo attento a non
cadere di nuovo nelle mani del nemico che, con astuzia, getta le sue trappole e
tende a sua volta le sue armi: «Non date credito, o semplici, all’Ingannatore,
che deruba i digiunanti! Infatti, chi vede astenersi dal pane, l’ingannatore lo
riempie di collera; a chi vede in preghiera insinua un pensiero dopo l’altro e,
furtivamente, gli sottrae dal cuore la preghiera della sua bocca. Nostro
Signore, donaci l’occhio in grado di vedere come quegli derubi la verità con
frode».
Il digiuno
ancora è presentato come vittoria che porta il cristiano alla purificazione e
alla visione di Dio; qui troviamo un tema caro a Efrem e agli autori siriaci
posteriori, quello della purezza di cuore che conduce, quale culmine d’un
cammino di elevazione spirituale, alla visione di Dio. Questo è il gradino più
alto che l’uomo può attingere: «Questo è il digiuno che eleva in alto: sorse
dal Primogenito per elevare in alto i piccoli. Per chi è accorto il digiuno è
motivo di gioia, vedendo quanto sia stato elevato in alto. Il digiuno purifica
invisibilmente l’anima, perché possa contemplare Dio ed elevarsi alla sua
visione».
Nello stesso
tempo Efrem non esita a biasimare il digiuno compiuto nell’ignoranza, perché
non porta alla “visione” ma alla “cecità” chi lo pratica, fino ad uccidere il
vero Agnello pasquale: «Venite, ricordiamo, digiunando, cosa fecero gli stolti
durante i loro digiuni! A Pasqua uccisero il Signore della Pasqua. Nella festa
immolarono il Signore delle feste. Leggevano senza capire e spiegavano senza
percepirne il senso! Lessero nelle Scritture; lo appesero sul legno. Le figure
nei libri; la verità sul legno. Crocifissero l’Agnello di verità e lo appesero.
Lo avevano crocifisso i ciechi, che si accesero d’invidia e, disorientati,
errarono. In mezzo ai crocifissori visibili stava una comunità spirituale,
invisibilmente».
Inoltre Efrem
offre una lettura simbolica dei fatti anticotestamentari alla luce del Nuovo
Testamento: «Mosè stava là con le sue braccia stese e il suo bastone sul petto.
Stupore sulla cima del monte: steso il braccio e il bastone innalzato, come sul
Golgota. Un loro testimone esclamò a loro riguardo: questo simbolo ha vinto
Amalek. L’alleanza di Mosè, infatti, era come uno specchio: essa rifletteva nostro
Signore. O verità che, anche ai ciechi, gridò: Qui sono io! I ciechi, avendola
toccata, videro la luce; i vedenti, avendola scrutata, divennero ciechi, poiché
crocifissero la luce».
Il digiuno è
maestro, oppure allenatore nella lotta: «Questo è il digiuno istruttore, che
insegna all’atleta le mosse della lotta. Accostatelo, praticatelo, apprendete
il combattimento accorto. Ecco, egli ci ordinò che la nostra bocca digiunasse e
digiunasse anche il nostro cuore. Non digiuniamo dal pane se nutriamo pensieri».
Diverse volte Efrem mette in guardia dal falso digiuno, dall’ipocrisia di chi
ostenta esteriormente di digiunare, mentre il suo cuore è attaccato al male che
non si vede: «L’Isaia eloquente si fece predicatore per biasimare i digiunanti:
Grida e proclama! L’orecchio chiuso non si apre che al suono dell’argento! Non
digiunare, mentre divori i beni dell’orfano! Non vestire l’abito di sacco,
mentre spogli la vedova! Non piegare il tuo collo, mentre soggioghi degli
esseri nati liberi! Un digiuno, che fa gemere e opprime, rende manifesti gli
idoli che si celano in una tale prepotenza».
Manuel Nin
1 marzo 2012