lunes, 6 de noviembre de 2017

La festa dell'Incontro del Signore nell'innografia e l’iconografia bizantina.
Oggi l’Antico dei giorni diventa Bambino…

            Le Chiese orientali celebrano la festa del 2 febbraio come una delle dodici grandi feste dell'anno liturgico. Testimoniata già da Egeria nella seconda metà del IV secolo. Nel V-VI secc. la festa si celebra già ad Alessandria, ad Antiochia ed entra a Costantinopoli nel 542. Alla fine del VII secolo viene introdotta a Roma da un papa di origini orientali Sergio I (687-701), che vi introdurrà anche le feste della Natività di Maria (8 settembre), dell’Annunciazione (25 marzo) e della Dormizione della Madre di Dio (15 agosto). Si tratta di una festa i cui testi liturgici sottolineano l'incontro tra l'umanità -rappresentata dai vegliardi Simeone ed Anna-, e la divinità –lo stesso Cristo Signore. L’iconografia della festa è abbastanza sobria e con poche varianti nelle diverse tradizioni cristiane in cui è rappresentata, dai mosaici romani di Santa Maria in Trastevere, all’iconografia balcanica, alle icone greche e slave. Sostanzialmente l’icona riprende il passo evangelico di Luca 2, con i cinque personaggi della narrazione: Cristo, Maria e Simeone come figure centrali; Giuseppe e Anna come figure in secondo piano. In un posto rilevante dell'icona vediamo l’altare del tempio vestito con le tovaglie e sormontato da un ciborio e spesso anche attorniato da un cancello, che fa del tempio dell'’antica alleanza il tempio cristiano e quindi la presentazione di Gesù al tempio nel quarantesimo giorno della sua nascita diventa la festa dell'Incontro dell'antica, invecchiata umanità con l’uomo nuovo nell’umanità di Cristo. Ancora a livello iconografico, in alcune delle rappresentazioni è Maria che porta il bimbo nelle sue braccia, mentre in altre icone è Simeone che lo sorregge. L’iconografia di Simeone ricevendo o sorreggendo il Bambino ci porta anche al momento del Grande Ingresso nella Divina Liturgia bizantina, in cui il vescovo, alla porta del santuario riceve dal sacerdote i doni preparati del pane e del vino per deporli sull’altare. I tropari dell'ufficiatura della festa nella tradizione bizantina appartengono ai grandi innografi bizantini: Giovanni Damasceno, Germano di Costantinopoli, Cosma di Maiuoma, Andrea di Creta; essi cantano soprattutto le tre figure centrali della rappresentazione iconografica e della festa stessa.
            In diversi dei tropari Simeone, come il vescovo nella Chiesa, accogliendo Cristo diventa anche colui che professa la fede della Chiesa: “Ora sono stato liberato, perché ho visto il mio Salvatore. Questi è colui che è stato partorito dalla Vergine: è il Verbo, Dio da Dio, colui che per noi si è incarnato e ha salvato l’uo­­mo… Si apra oggi la porta del cielo, il Verbo eterno del Padre, assunto un principio temporale, senza uscire dalla sua divinità, è presentato per suo volere al tempio della Leg­ge da Vergine Madre… e il vegliardo lo prende tra le braccia, gridando come servo al Sovrano: Lascia che me ne vada, perché i miei occhi han­no visto la tua salvezza. Tu che sei venuto nel mondo per salvare il genere umano”. La professione di fede dei quattro primi concili ecumenici viene messa nella bocca di Simeone; anche nella tradizione bizantina al momento della presentazione del candidato all’ordinazione episcopale, costui professa la sua fede davanti alla Chiesa che lo accoglie come vescovo con tre professioni di fede legate al quattro primi concili ecumenici. Simeone stesso in uno dei tropari diventa tipo di Cristo nella sua discesa agli inferi per salvare, liberare Adamo: “Ora lascia che io me ne va­da, o Sovrano, per annunciare ad Adamo che ho visto il Dio che è prima dei secoli senza mutamento fatto bambino…”.
            Diversi dei tropari sottolineano come il Bambino presentato al tempio è anche Colui che aveva parlato nell’Antico Testamento; in qualche modo la liturgia mette in rilievo che Colui che dava la legge, adesso la ubbidisce anche: “Accogli, Simeone, colui che Mosè vide in pre­cedenza, nella caligine, quando gli dava la Legge sul Sinai, e che ora, divenuto bambino, si assoggetta alla Legge… Questi è colui che Davide annuncia; que­sti è colui che ha parlato nei profeti, colui che si è in­car­nato per noi e che parla nella Legge…”. L’incontro tra l’umanità invecchiata simboleggiata da Simeone ed Anna e la nuova umanità in Cristo, fa riprendere in parecchi dei tropari il testo di Daniel 7,9 in cui si parla del vegliardo, dell'Antico dei giorni, un versetto che i Padri e la liturgia stessa hanno letto sempre in chiave cristologica: “L’Antico di giorni, divenuto bambino nella carne, è porta­to al santuario dalla Madre Vergine… È bambino per me l’Antico di giorni; il Dio puris­simo si sottopone alle purificazioni, per confermare che è realmente la mia carne quella che dalla Vergine ha assunto. Simeone, iniziato ai misteri, rico­nosce Dio stesso, apparso nella carne…”. Colui che la visione del profeta vede come un vegliardo “Antico dei giorni” adesso appare “Bambino nuovo” come lo canta la liturgia del Natale a due vegliardi nel tempio.
            Maria la Madre di Dio viene sempre presentata nei testi liturgici come colei che regge, che porta Cristo. Tre sono i tropari nella seconda parte del vespro bizantino che si trattengono nella figura di Maria. Il primo di questi tre è anche entrato nell’ufficiatura romana della festa odierna come antifona “Adorna thalamum tuum Sion”; sono diversi i titoli cristologici dati in questo testo alla Madre di Dio: celeste porta, trono, nube di luce: “Adorna il tuo talamo, o Sion, e accogli il Re Cristo; abbraccia Maria, la celeste porta, perché essa è di­venuta trono di cherubini, essa porta il Re della gloria; è nube di luce la Vergine perché reca in sé, nella carne, il Figlio che è prima della stella del mat­tino…”. Sempre nell’ufficiatura del vespro troviamo un lungo tropario di Andrea di Creta in cui le braccia portanti del Cristo non sono già quelli di Maria bensì quelli del vegliardo Simeone; ambedue pero, Maria e Simeone, sono sempre tipo della Chiesa che sorregge, porta Cristo agli uomini. Questo tropario introduce, si potrebbe dire in modo discreto, la figura di Giuseppe, discreta anche nella stessa iconografia. Riportiamo il testo intero del tropario: “Colui che è portato dai cherubini e celebrato dai sera­fi­ni, presentato oggi nel sacro tempio secondo la Legge, ha per trono le braccia di un vegliardo; per mano di Giuseppe riceve doni degni di Dio: sotto forma di una coppia di tor­tore, ecco la Chiesa incon­taminata e il nuovo popolo eletto delle genti, insieme a due piccoli di colomba per signi­fi­care che egli è principe dell’antico e del nuovo patto. Si­meo­ne, acco­gliendo il compimento dell’oracolo che aveva ricevuto, benedice la Vergine Madre-di-Dio Maria, simbo­li­camente predicendole la passione di colui che da lei era nato, e a lui chiede di essere sciolto dalla vita, gri­dan­do: Ora la­scia che me ne vada, o Sovrano, come mi ave­vi predetto, per­ché io ho visto te, luce sempiterna, e Signore Salvatore del popolo che da Cristo prende nome”.
            Discreta la figura di Giuseppe sia nell’iconografia che nell’innologia –è presente in un unico tropario-; discreta anche quella della profetessa Anna, presente soltanto in un tropario del giorno 3 febbraio, quando la liturgia celebra i due vegliardi: “Anna divinamente ispirata e il felicissimo Simeone, risplendenti per la profezia, divenuti irreprensibili nella Legge, vedendo il datore della Legge apparso bambino come noi, lo hanno ora adorato: con grande gioia cele­bria­mo dunque oggi la loro memoria…”.

P. Manuel Nin
Pontificio Collegio Greco
Roma


La festa dell’Incontro del Signore nella tradizione bizantina
Oggi l’Antico di giorni
diventa bambino
Nelle Chiese orientali la festa del 2 febbraio è una delle dodici grandi feste dell’anno liturgico. Testimoniata già nella seconda metà del iv secolo, sottolinea l’incontro tra l’umanità, rappresentata dai vegliardi Simeone e Anna, e la divinità, lo stesso Cristo Signore.
L’iconografia ha poche varianti, dai mosaici romani di Santa Maria in Trastevere ai Balcani, con Cristo, Maria e Simeone come figure centrali, Giuseppe e Anna in secondo piano. L’altare con tovaglie e ciborio trasforma il tempio dell’antica alleanza in edificio di culto cristiano. Così la presentazione di Gesù quaranta giorni dopo la nascita diventa la festa dell’Incontro dell’umanità invecchiata con l’uomo nuovo, Cristo. In alcune icone Maria porta il bimbo nelle sue braccia, in altre è Simeone a sorreggerlo, ricordando il Grande ingresso nella Divina liturgia bizantina, quando il vescovo riceve i doni preparati del pane e del vino per deporli sull’altare.

Simeone, come il vescovo, accogliendo Cristo diventa colui che professa la fede della Chiesa: «Ora sono stato liberato, perché ho visto il mio Salvatore. Questi è colui che è stato partorito dalla Vergine: è il Verbo, Dio da Dio, colui che per noi si è incarnato e ha salvato l’uomo. Si apra oggi la porta del cielo: il Verbo eterno del Padre, assunto un principio temporale, senza uscire dalla sua divinità, è presentato per suo volere al tempio della Legge dalla Vergine Madre e il vegliardo lo prende tra le braccia».
La professione di fede dei quattro primi concili ecumenici viene messa in bocca a Simeone; anche al momento della presentazione del candidato all’ordinazione episcopale, costui pronuncia tre professioni di fede legate ai quattro concili. Simeone stesso in un testo diventa figura di Cristo nella sua discesa agli inferi: «Ora lascia che io me ne vada, o Sovrano, per annunciare ad Adamo che ho visto il Dio che è prima dei secoli senza mutamento fatto bambino».
Diversi tropari sottolineano come il bambino presentato al tempio è anche colui che aveva parlato nell’Antico Testamento: «Accogli, Simeone, colui che Mosè vide in precedenza, nella caligine, quando gli dava la Legge sul Sinai, e che ora, divenuto bambino, si assoggetta alla Legge. Questi è colui che Davide annuncia; questi è colui che ha parlato nei profeti, colui che si è incarnato per noi e che parla nella Legge».
L’incontro tra l’umanità invecchiata simboleggiata da Simeone e Anna e la nuova umanità in Cristo, fa riprendere un versetto del profeta Daniele (7, 9) in chiave cristologica: «L’Antico di giorni, divenuto bambino nella carne, è portato al santuario dalla Madre Vergine. È bambino per me l’Antico di giorni; il Dio purissimo si sottopone alle purificazioni, per confermare che è realmente la mia carne quella che dalla Vergine ha assunto. Simeone, iniziato ai misteri, riconosce Dio stesso, apparso nella carne». Colui che la visione del profeta vede come un vegliardo «antico di giorni» adesso appare «bambino nuovo», come lo canta la liturgia del Natale.
Maria, la Madre di Dio, viene presentata nei testi liturgici come colei che porta Cristo. Uno di questi (Adorna thalamum tuum Sion) è entrato nell’ufficiatura romana: «Adorna il tuo talamo, o Sion, e accogli il re Cristo; abbraccia Maria, la celeste porta, perché essa è divenuta trono di cherubini, essa porta il re della gloria; è nube di luce la Vergine perché reca in sé, nella carne, il Figlio che è prima della stella del mattino».
In un lungo tropario di Andrea di Creta le braccia che portano il Cristo non sono di Maria ma del vegliardo Simeone, entrambi sono figura della Chiesa che porta Cristo agli uomini, introducendo in modo discreto la figura di Giuseppe, in secondo piano anche nell’iconografia: «Colui che è portato dai cherubini e celebrato dai serafini, presentato oggi nel sacro tempio secondo la Legge, ha per trono le braccia di un vegliardo; per mano di Giuseppe riceve doni degni di Dio: sotto forma di una coppia di tortore, ecco la Chiesa incontaminata e il nuovo popolo eletto delle genti, insieme a due piccoli di colomba per significare che egli è principe dell’antico e del nuovo patto. Simeone, accogliendo il compimento dell’oracolo che aveva ricevuto, benedice la Vergine Madre di Dio Maria, simbolicamente predicendole la passione di colui che da lei era nato, e a lui chiede di essere sciolto dalla vita, gridando: Ora lascia che me ne vada, o sovrano, come mi avevi predetto, perché io ho visto te, luce sempiterna, e Signore salvatore del popolo che da Cristo prende nome».
  Manuel Nin
L’osservatoreromano
2 febbraio 2012