La festa
dell'Ascensione del Signore nella tradizione Siro Occidentale.
Dal legno discese come frutto e salì al
cielo come primizia
La festa dell’Ascensione del
Signore, celebrata il quarantesimo giorno dopo la Risurrezione, la troviamo
testimoniata già dal IV secolo in Eusebio di Cesarea attorno al 325; Egeria
invece parla di una celebrazione il quarantesimo giorno dopo Pasqua ma che si
fa a Betlemme e non sul Monte degli Ulivi da dove il Signore ascende in cielo.
Inoltre, sempre secondo Egeria, il raduno dei fedeli col vescovo nel luogo
dell'Ascensione e la lettura della pericope del vangelo viene fatta la vigilia
della Pentecoste. Gregorio di Nissa e Giovanni Crisostomo hanno delle omelie
per l’Ascensione, ed anche Agostino di Ippona in ambito latino. La tradizione
siro occidentale, nei testi della festa dell'Ascensione, collega molto
strettamente l'Incarnazione, la discesa del Verbo di Dio, e la sua Ascensione, il
suo innalzarsi in cielo: "Oggi il Cristo Dio si innalza dal monte degli
ulivi fino al suo Padre glorioso… Oggi gli angeli fanno conoscere agli apostoli
il grande mistero della seconda venuta di Cristo. Noi lo vedremo coi nostri
occhi di carne…". Cristo, salendo in cielo con l'umanità assunta da noi,
la fa entrare nel luogo Santo, la glorifica e la porta al paradiso chiuso da
Adamo: "Tu sei entrato nel Santo dei santi e hai preso possesso della
dimora non fatta da mano d'uomo. Salendo in cielo ci hai aperto le porte che
Adamo nostro primo padre ci aveva chiuso in faccia.. Ci hai fatti sedere alla destra
di tuo Padre, e gli hai fatto un dono che non può rifiutare, il corpo umano che
avevi preso da noi". La Chiesa stessa, tutti noi redenti, portati con
Cristo in cielo diventiamo offerta di Cristo al Padre. Questo è un aspetto che
si ritrova in un modo molto chiaro nell'altra delle tradizioni siriache,quella
siro orientale, che, chiudendo l'anno liturgico con le quattro domeniche che
portano come titolo"Dedicazione della Chiesa" sottolineano come la
Chiesa, comunità dei redenti dal sangue di Cristo viene presentata, offerta da
Lui stesso al Padre come corona dell'anno liturgico, al momento della sua piena
glorificazione nella gloria.
Come la tradizione bizantina, anche
quella siro occidentale fa nei testi liturgici della festa dell'Ascensione una
rilettura del salmo 23 nella sua stessa forma dialogata: "Quando gli
spiriti celesti ti videro innalzarti in cielo con un corpo vero, furono
stupefatti e cominciarono a domandarsi l'un l'altro: «Chi è questo Re della
gloria che viene da Edom? E' il Signore potente, il Signore vincitore in
battaglia... Alzatevi porte antiche, apritevi porte eterne perché entri il Re
della gloria»". La salvezza adoperata dal Signore viene presentata in
diversi dei testi del vespro come un fatto che avviene dalla sua Incarnazione,
la sua kenosi, fino alla sua Ascensione, la sua piena glorificazione alla
destra del Padre: "Tutti noi, tuoi servi, riscattati dal tuo sangue
prezioso, proclamiamo davanti alle schiere celesti: Benedetto sei Tu, che ti
sei abbassato per innalzarci dalla nostra umiliazione. Benedetto sei Tu disceso
che ci fai salire alla tua dimora celeste". Inoltre i testi liturgici, a
partire dagli stessi testi biblici, sottolineano l'attesa per la Chiesa della
seconda venuta di Cristo: "Concedici, Signore, di traboccare di gioia per
la tua ascensione e di attendere nell'esultanza la tua seconda venuta dal
cielo". La tradizione siro occidentale, in diversi testi dell'ufficiatura,
fa una lettura cristologica del testo di Is 61,3: "Chi è questo re della
gloria che giunge da Edom, cioè dalla terra, e i suoi vestiti sono macchiati di
sangue, del sangue del corpo che si è rivestito? Perché i suoi vestiti sono
rossi come quelli di chi calca il vino? Il Figlio di Dio si è incarnato, si è
rivestito il corpo della nostra umanità… Ha sofferto la croce, la morte e la
sepoltura, è risorto ed è salito al cielo".
La liturgia siro occidentale sottolinea
molto chiaramente che nel Monte degli Ulivi è la Chiesa tutta che vi è radunata:
"La pace tra quelli del cielo e quelli della terra, pacifichi la Chiesa e
conservi i suoi figli riscattati dalla croce. Sul monte degli ulivi il Signore
raduna la sua Chiesa per cui lui è morto, affinché essa lo veda salire alla
dimora di suo Padre". Il collegamento con la seconda venuta di Cristo e la
dimensione ecclesiologica della festa, li raccoglie la stressa icona dell'Ascensione.
Comune a tutta l'iconografia orientale ed occidentale, anche in quella siriaca
l=immagine è
divisa in due parti ben distinte: nella parte superiore c=è Cristo assiso su un trono, immobile nella sua
gloria, sostenuto da due angeli. Nella parte inferiore c=è la Madre di Dio e gli apostoli. L=icona dell=Ascensione -la
stessa festa dell=Ascensione-
contempla Cristo nel suo innalzarsi, sostenuto dagli angeli, ma allo stesso
tempo è anche l=icona del
ritorno glorioso di Cristo: tornerà un giorno allo stesso modo... Dalla
sua Ascensione fino al suo ritorno Cristo presiede la sua Chiesa -nell=icona vediamo Cristo che dal suo trono presiede
la Chiesa formata dalla Madre di Dio orante e dagli apostoli, presiede la
preghiera della Chiesa.
L'Ascensione di Cristo sigilla
quindi al riconciliazione tra il cielo e la terra; è Lui la pacificazione tra
quelli dall'alto e quelli dal basso. E questo mistero lo troviamo in un testo
in forma di dialogo, di disputa, (genere letterario molto familiare alla
tradizione siriaca), testo che non fa parte della liturgia dell'Ascensione, ma
che ne riassume il mistero. Due personaggi, il cielo e la terra, disputano tra
di loro; alla fine il mistero della redenzione di Cristo riporta tra di loro la
pace: "Il cielo dice: In me c'è il Regno e gli angeli; e la terra dice: In
me le Chiese e i giusti. Il cielo dice: In me ci sono mila e dieci mila che
stanno davanti al suo trono; e la terra dice: In me le assemblee e le
generazioni che stanno davanti alla sua croce. Il cielo dice: In me il trono di
cui esce fuoco; e la terra dice: In me l'altare della cui bontà esce la
salvezza. Il cielo dice: In me le nuvole che portano le piogge che non hanno
bisogno di fontane; e la terra dice: In me la Vergine che ha concepito senza
uomo. Il cielo dice: In me coloro che portano la brace e temono; e la terra
dice: In me coloro che la mangiano e si rallegrano. Il cielo dice: In me il
fiume di fuoco che rischiara coloro che lo guardano; e la terra dice: In me il
calice della salvezza che risuscita coloro che ne bevono. Dice il cielo alla
terra: Noi siamo due fratelli, non dobbiamo lottare avvicenda poiché i nostri
abitanti sono fratelli".
Efrem il Siro collega nei suoi inni
la discesa di Cristo nell'Ade e la sua glorificazione in cielo: "Come un
chicco di grano cadde nello sheol, e salì come covone e pane nuovo… Dal legno
discese come frutto e salì al cielo come primizia… Beata sei tu, o Betania: il
monte dell'arca ed il monte Sinai ti invidiano; non da loro ascese il Signore
delle altezze, ma da te ascese. Tu hai visto il suo cocchio glorioso, la nube
che chinò la sua altezza verso l'Umile che aveva iniziato a regnare in alto e
in basso".
Salì al cielo come primizia
di Manuel Nin
Nel quarantesimo giorno dopo la
Risurrezione la festa dell'Ascensione del Signore è attestata già in Eusebio di
Cesarea intorno al 325; un secolo e mezzo più tardi Egeria parla di una
celebrazione a Betlemme, e non sul Monte degli Ulivi da dove il Signore ascende
in cielo e dove invece il raduno dei fedeli col vescovo nel luogo
dell'Ascensione e la lettura del vangelo viene fatta la vigilia della
Pentecoste. Per la festa, Gregorio di Nissa e Giovanni Crisostomo (e Agostino
in ambito latino) hanno omelie.
La tradizione siro-occidentale collega molto strettamente l'Incarnazione, la
discesa del Verbo di Dio, e la sua Ascensione: "Oggi il Cristo Dio
si innalza dal monte degli ulivi fino al suo Padre glorioso. Oggi gli angeli
fanno conoscere agli apostoli il grande mistero della seconda venuta di Cristo.
Noi lo vedremo coi nostri occhi di carne". Cristo, salendo in cielo con
l'umanità assunta da noi, la fa entrare nel luogo santo, la glorifica e la
porta nel paradiso: "Tu sei entrato nel Santo dei santi e hai preso
possesso della dimora non fatta da mano d'uomo. Salendo in cielo ci hai aperto
le porte che Adamo nostro primo padre ci aveva chiuso in faccia. Ci hai fatti
sedere alla destra di tuo Padre, e gli hai fatto un dono che non può rifiutare,
il corpo umano che avevi preso da noi".
Tutti noi redenti, portati con
Cristo in cielo, diventiamo offerta al Padre. Questo è un aspetto che si
ritrova molto chiaramente nella tradizione siro-orientale, che, chiudendo
l'anno liturgico con le quattro domeniche della "dedicazione della
Chiesa", sottolinea come la comunità dei redenti dal sangue di Cristo
viene presentata e offerta al Padre come corona dell'anno liturgico nel momento
della sua piena glorificazione.
Nei testi liturgici si rilegge il salmo 23: "Quando gli spiriti celesti ti videro innalzarti in cielo con un corpo vero, furono stupefatti e cominciarono a domandarsi l'un l'altro: Chi è questo Re della gloria che viene da Edom? È il Signore potente, il Signore vincitore in battaglia. Alzatevi porte antiche, apritevi porte eterne perché entri il Re della gloria". La salvezza operata dal Signore viene presentata nel vespro dalla sua Incarnazione fino alla sua Ascensione: "Tutti noi, tuoi servi, riscattati dal tuo sangue prezioso, proclamiamo davanti alle schiere celesti: Benedetto sei tu, che ti sei abbassato per innalzarci dalla nostra umiliazione". Inoltre i testi sottolineano l'attesa della seconda venuta di Cristo e fanno una lettura cristologica di Isaia (61, 3): "Chi è questo re della gloria che giunge da Edom, cioè dalla terra, e i suoi vestiti sono macchiati di sangue, del sangue del corpo che si è rivestito? Perché i suoi vestiti sono rossi come quelli di chi calca il vino? Il Figlio di Dio si è incarnato, si è rivestito il corpo della nostra umanità. Ha sofferto la croce, la morte e la sepoltura, è risorto ed è salito al cielo".
Nei testi liturgici si rilegge il salmo 23: "Quando gli spiriti celesti ti videro innalzarti in cielo con un corpo vero, furono stupefatti e cominciarono a domandarsi l'un l'altro: Chi è questo Re della gloria che viene da Edom? È il Signore potente, il Signore vincitore in battaglia. Alzatevi porte antiche, apritevi porte eterne perché entri il Re della gloria". La salvezza operata dal Signore viene presentata nel vespro dalla sua Incarnazione fino alla sua Ascensione: "Tutti noi, tuoi servi, riscattati dal tuo sangue prezioso, proclamiamo davanti alle schiere celesti: Benedetto sei tu, che ti sei abbassato per innalzarci dalla nostra umiliazione". Inoltre i testi sottolineano l'attesa della seconda venuta di Cristo e fanno una lettura cristologica di Isaia (61, 3): "Chi è questo re della gloria che giunge da Edom, cioè dalla terra, e i suoi vestiti sono macchiati di sangue, del sangue del corpo che si è rivestito? Perché i suoi vestiti sono rossi come quelli di chi calca il vino? Il Figlio di Dio si è incarnato, si è rivestito il corpo della nostra umanità. Ha sofferto la croce, la morte e la sepoltura, è risorto ed è salito al cielo".
La liturgia siro-occidentale
sottolinea che nel Monte degli Ulivi è la Chiesa tutta a essere radunata,
mentre il collegamento con la seconda venuta di Cristo e la dimensione
ecclesiologica della festa sono nell'icona dell'Ascensione. L'immagine è divisa
in due parti ben distinte: nella parte superiore c'è Cristo assiso su un
trono, immobile nella sua gloria, sostenuto da due angeli. Nella parte
inferiore c'è la Madre di Dio e gli apostoli. Dall'Ascensione fino al suo
ritorno Cristo presiede la Chiesa, formata dalla Madre di Dio orante e dagli
apostoli.
L'Ascensione di Cristo sigilla
quindi la riconciliazione tra il cielo e la terra. Come sottolinea un testo in
forma di dialogo o disputa (genere letterario molto familiare alla tradizione
siriaca), testo che non fa parte della liturgia ma che ne riassume il mistero.
Cielo e terra disputano tra di loro e il mistero della redenzione di Cristo
riporta la pace: "Il cielo dice: In me c'è il Regno e gli
angeli; e la terra dice: In me le Chiese e i giusti. Il cielo dice:
In me ci sono mille e diecimila che stanno davanti al suo trono; e la terra dice:
In me le assemblee e le generazioni che stanno davanti alla sua croce. Il cielo
dice: In me il trono da cui esce fuoco; e la terra dice: In me
l'altare dalla cui bontà esce la salvezza. Il cielo dice: In me le nuvole
che portano le piogge che non hanno bisogno di fontane; e la terra dice:
In me la Vergine che ha concepito senza uomo. Il cielo dice: In me il
fiume di fuoco che rischiara coloro che lo guardano; e la terra dice: In
me il calice della salvezza che risuscita coloro che ne bevono. Dice il cielo alla
terra: Noi siamo due fratelli, non dobbiamo lottare poiché i nostri
abitanti sono fratelli".
Efrem il Siro collega nei suoi inni
la discesa di Cristo nell'Ade e la sua glorificazione in cielo:
"Come un chicco di grano cadde nello sheol, e salì come covone e
pane nuovo. Dal legno discese come frutto e salì al cielo come primizia. Beata
sei tu, o Betania: il monte dell'arca ed il monte Sinai ti invidiano; non
da loro ascese il Signore delle altezze, ma da te ascese. Tu hai visto il suo
cocchio glorioso, la nube che chinò la sua altezza verso l'Umile che aveva
iniziato a regnare in alto e in basso".
P. Manuel Nin
Pontificio
Collegio Greco
Roma
(©L'Osservatore Romano - 16 maggio 2010)