miércoles, 19 de junio de 2013

Dio diviene uomo per rendere Adamo Dio.
La festa dell’Annunciazione della Santissima Madre di Dio nella tradizione bizantina.
            La festa dell’Annunciazione della Santissima Madre di Dio e sempre vergine Maria, è una delle poche feste che troviamo lungo la Quaresima nella tradizione bizantina, ed ha il suo fondamento biblico nei Vangeli, specialmente in quello di Luca. Si tratta di una delle antiche feste cristiane, e ne abbiamo testimonianze precise quando viene introdotta a Costantinopoli attorno al 530; anche Romano il Melode (VI secc) ne ha un kondákion. Allo sviluppo di questa festa contribuirono le omelie patristiche di tendenza antiariana che cercavano di sottolineare, accanto all’umanità di Cristo, anche la sua divinità eternamente sussistente in Dio; ed anche l’omiletica di origine siriaca che sottolineava fortemente il parallelo Eva – Maria, e che troviamo molto presente nell’ufficiatura della festa. A Roma la festa fu introdotta da papa Sergio I (687-701) di origine siriaca, che ne stabilì una celebrazione liturgica a Santa Maria Maggiore con una processione.

            Sin dall’inizio la festa fu celebrata il 25 di marzo e quindi sempre nel periodo quaresimale, tempo che escludeva qualsiasi solennità fino a Pasqua. Il concilio di Costantinopoli 692, detto in Trullo, prescrive di celebrare con tutta solennità la festa, in qualsiasi tempo e giorno essa accada. E così nelle chiese bizantine si sviluppa un ben particolare sistema di rubriche liturgiche che cercano di combinare l’Annunciazione con le ufficiature quaresimali e della Settimana Santa. La festa del 25 marzo ha una vigilia il 24 ed un dopo festa il 26, giorno in cui si celebra la memoria dell’arcangelo Gabriele. Infatti molto spesso le grandi feste nella tradizione bizantina hanno, il giorno successivo alla festa, la celebrazione del personaggio di cui Dio si serve per portare a termine il suo mistero di salvezza. L’iconografia della festa è assai sobria e riprende di solito la pericope di Lc 1, 26-38.

            La festa ha come tematica portante l’annuncio dell’Incarnazione del Verbo di Dio e la gioia che ne scaturisce. Molti dei tropari avranno, quasi un ritornello il “gioisci”; si tratta di una gioia che non ha niente di superficiale bensì nasce dalla consapevolezza della salvezza che ci viene data in Cristo. La festa cerca di coinvolgere tutta la creazione alla lode e alla contemplazione  del mistero celebrato, appunto l’Incarnazione del Verbo di Dio. Nella lettura dei testi dell’ufficiatura del 25 marzo ci accorgiamo che sono dei testi che riassumono tutto il mistero della nostra fede. I tropari sono un intreccio di citazioni bibliche, soprattutto veterotestamentarie, profezie dell’AT che annunciano il Cristo e che la tradizione patristica ha letto sempre in chiave cristologica. Questa stessa lettura la vediamo già in tutti i titoli dati a Maria, titoli cristologici, legati al mistero dell’Incarnazione del Verbo di Dio, e della divina maternità di Maria: Gioisci, terra non seminata; gioisci, roveto incombusto (Es 3,2); gioisci abisso imperscrutabile; gioisci, ponte che fa passare ai cieli e scala elevata contemplata da Giacobbe (Gen 28,12); gioisci, divina urna della manna (Es 16,33); gioisci, liberazione dalla maledizione (Gen 3,15); gioisci, ritorno di Adamo dall’esilio: il Signore è con te (Lc 1,28). Ben otto “gioisci” di cui cinque ripresi dalla Sacra Scrittura.

            Un’altro tema che ritorna nei testi liturgici è l’accostamento meraviglia-dubbio di Maria; meraviglia di fronte a quello che le viene annunciato, dubbio non tanto di fronte a quello che dovrà avverarsi, bensì a non essere di nuovo come Eva ingannata da “qualcuno” che annuncia anche grandi cose: sarete come Dio…  Un altro accostamento meraviglia – stupore la liturgia lo applica anche all’arcangelo stesso di fronte al contenuto dell’annuncio; e qui troviamo una serie di affermazioni cristologicamente contrastanti, molto simili alla stessa tematica trovata negli Inni di sant’Efrem il Siro: l’inafferrabile che è nel più alto dei cieli, nasce da una vergine! Colui che ha il cielo per trono e la terra come sgabello si rinchiude nel grembo di una donna! Colui che i serafini dalle sei ali… non possono fissare, si compiace di incarnarsi da lei… Colui che qui è presente è il Verbo di Dio.

            Le letture del vespro sono prese dall’Antico Testamento, e sono delle pericopi che già tutta la tradizione patristica di Oriente e di Occidente legge in chiave cristologica: Gen 28, 10-17: la scala di Giacobbe; Ez 43, 27-44,4: la porta chiusa da dove passa soltanto il Signore; Pr 9, 1-11: la casa costruita dalla sapienza di Dio. Il tropario della festa riassume in modo breve e chiaro il tema di fondo della celebrazione, cioè il Figlio di Dio che diventa Figlio della Vergine: Oggi è il principio della nostra salvezza e la manifestazione del mistero nascosto da secoli: il Figlio di Dio diviene Figlio della Vergine, e Gabriele porta la buona novella della grazia. Con lui dunque acclamiamo alla Vergine: Gioisci, piena di grazia, il Signore è con te.

            Vorrei accennare all’ufficiatura del mattutino in uno dei suoi testi: la composizione (cànone) di un autore bizantino, Teodoro Graptos (778-845) vissuto in piena controversia iconoclasta. L’opera è un’acrostico, e si svolge servendosi di un genere letterario che già Efrem usa spesso, cioè quello del “dialogo” o “disputa” tra due personaggi, nel nostro casi tra l’arcangelo e la Madre di Dio; intervenendo ognuno di loro a strofe alterne. L’autore riprende quel tema accennato già al vespro, la meraviglia dello stesso arcangelo per quello che deve annunciare, lo stupore e la paura della Vergine, paura ad essere di nuovo come Eva ingannata:

L’angelo: Il roveto che, accolta la fiamma, è rimasto incombusto, o piena di grazia ignara di nozze, ha mostrato l’ineffabile realtà del mistero che ti riguarda: dopo il parto infatti, o pura, tu rimarrai sempre vergine.
La Madre-di-Dio: Tu che risplendi della luce del Dio onnipotente, o araldo di verità, dimmi, Gabriele, con tutta sincerità: come, rimanendo integra la mia purezza, partorirò il Verbo incorporeo nella carne?
L’angelo: Con riverenza io sto davanti a te, come servo davanti alla padrona; con timore dunque, o Vergine, con trepido rispetto ti considero: come pioggia sul vello scenderà su di te il Verbo del Padre, secondo il suo beneplacito.
La Madre-di-Dio: Come potrà colui che da nulla è contenuto e che per tutti è invisibile abitare nel grembo di una vergine che egli stesso ha plasmato? Come dunque concepirò Dio, il Verbo che, come il Padre e lo Spirito, è senza principio?
L’angelo: Gioisci, Sovrana, gioisci, Vergine tutta pura; gioisci, ricettacolo di Dio; gioisci, lampada luminosa; riconciliazione di Adamo, riscatto di Eva, monte santo, fulgido santuario e talamo di immortalità.

              L’ultimo dei tropari del mattutino riassume tutto il mistero della nostra salvezza già manifestato nei Vangeli ed in tutta la tradizione patristica: Il mistero che è dall’eternità è oggi rivelato, e il Figlio di Dio diviene Figlio dell’uomo, affinché, assumendo ciò che è inferiore, possa comunicarmi ciò che è superiore… ma Dio diviene uomo per rendere Adamo Dio… La Divina Liturgia del giorno 25 legge le pericope di Eb 2, 11-18, e Lc 1, 24-38:    E l’angelo andò via da lei. Il versetto del vangelo di Luca che chiude la pericope dell’Annunciazione mi fa sempre impressione. Il Signore ci annuncia la sua Buona Novella, poi ci lascia…? Non è l’abbandono né la solitudine che dobbiamo leggere nel versetto del vangelo di Luca, ma sì il fatto che nella nostra vita cristiana saremo chiamati a dare una risposta dalla nostra propria responsabilità e maturità umana e cristiana.


Manuel Nin
Pontificio Collegio Greco
Roma