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Miscellanea P. Olivier Raquez
A proposito di
alcuni dei tropari del periodo che precede il Natale nella tradizione liturgica
bizantina.
2.5. Theotokion secondo della festa di
San Nicola, 6 dicembre.
Vergine senza
nozze, donde vieni? Chi ti ha generata? Chi è tua madre? Come puoi portare il
Creatore tra le braccia? Come il tuo grembo è rimasto incorrotto? Vediamo compiersi
in te sulla terra, o tutta santa, grandi misteri, straordinari e tremendi, e
prepariamo come cosa a te dovuta sulla terra la grotta, mentre chiediamo al
cielo di apprestare la stella; vengono anche i magi dall=Oriente della terra all=Occidente per contemplare la salvezza
dei mortali, un fanciullo che viene allattato.
Altro testo
suggerito alla nostra lettura è il theotokìon degli aposticha di san
Nicola. In un modo molto conciso troviamo presentati diversi aspetti della
nostra redenzione: la maternità verginale di Maria - Vergine senza nozze... madre che allatta
il bambino...; il Verbo di Dio che nasce bambino, a sottolineare la realtà
dell=incarnazione.
Il testo si muove -come d=altronde tanti
altri testi liturgici bizantini- per via di contrasto:
Vergine... senza nozze...
Il Creatore... nelle sue braccia...
Grembo... rimane incorrotto...
La terra
prepara la grotta... il cielo una
stella...
Il tropario
mette in evidenza come la risposta dell=umanità, della nostra povera condizione umana,
al disegno di salvezza, è molto misera: una grotta; in essa, cioè nella
povertà, nell=umiltà, nasce
il Verbo di Dio. Ancora in questa serie di immagini di contrasto, notiamo la
fine del testo: i magi che vengono dall=Oriente all=Occidente per vedere la nostra salvezza, cioè
un bambino non un re potente, forte e vittorioso, ma un bambino allattato,
piccolo e debole.
Sono dei testi,
come accennavo all=inizio, molto
belli, e di una bellezza che difficilmente si riesce a commentare o spiegare;
una bellezza che fa che la liturgia di ogni Chiesa cristiana abbia un pregio a
cui mai dovremmo rinunciare, cioè di essere bella. E non per ragioni
prettamente estetiche, che hanno sicuramente la loro validità, bensì per
ragioni più profonde. La liturgia di ogni comunità cristiana, di Oriente e di
Occidente, comunità parrocchiale, comunità monastica, è il luogo dove portiamo
quello che siamo come uomini, come cristiani; il luogo dove portiamo il nostro
essere cristiani, tutto il nostro essere uomini e cristiani. Non lasciamo niente
fuori, per grazia di Dio, tutto lo presentiamo a Colui che ci ha chiamati, che
ci ha radunati. Tutta la nostra realtà di peccato e di grazia, di amore e di
perdono la riceviamo e la viviamo lì in un modo particolare.
La liturgia
cristiana come luogo di bellezza. E dove si manifesta questa bellezza, dove
possiamo percepirla? Dove dovrebbe percepirla il cristiano o magari l=uomo del nostro mondo che si avvicina per la
prima volta a una liturgia cristiana?
In primo luogo
nella celebrazione. La nostra fede, come ce l=ho indicava il theotokìon, passa per l=Incarnazione, passa per le mediazioni umane -i
sacramenti si servono di mediazioni materiali per portarci alla salvezza che ci
viene da Cristo. Come usiamo, adoperiamo queste mediazioni è importante perché
in fondo rivela il nostro atteggiamento più profondo, quello che viviamo nel
fondo del nostro cuore. Cerchiamo di rivedere come viviamo la liturgia nel
concreto della nostra vita cristiana.
In secondo
luogo, nello stesso luogo di culto. La bellezza della liturgia cristiana si
manifesta in quel posto dove la comunità si raduna per pregare, dove la Chiesa
elargisce i misteri della salvezza. Ed è importante che questo luogo sia bello;
ed è importante che lo sia anche nell=iconografia, e non soltanto a causa magari di
una iconofilia, bensì perché l=iconografia
cristiana è un luogo di catechesi, per i fedeli, per noi stessi.
In terzo luogo
direi nel contenuto delle celebrazioni, a livello specialmente dei testi e dei
canti. Nella conoscenza, nell=approfondimento
dei testi che sono fonte di vita di preghiera -la preghiera cristiana
scaturisce nel cuore dell=uomo quando
costui prega. Ed i testi della liturgia bizantina sono di una ricchezza che non
possiamo tralasciare assolutamente. La bellezza delle liturgie cristiane che si
manifesta specialmente nel canto; quando una chiesa o comunità cristiana
-monastero, parrocchia, seminario- canta bene indica che in fondo quello che
canta lo prega, e quello che prega lo vive. La bellezza della liturgia
cristiana si manifesta anche nei nostri atteggiamenti personali; a scopo
pedagogico poiché quello che facciamo e quello che gli altri vedono che
facciamo, manifesta quello che viviamo; lo stato d=animo del cristiano lo manifestiamo anche nel
nostro agire esteriore.
Per ultimo, e
non perciò meno importante -ho parlato della bellezza nella celebrazione, nel
luogo di culto, nel contenuto dei testi, dei canti-, la bellezza del cuore di
ogni cristiano dove, per il battesimo il Signore abita, quel luogo, quel tempio
della sua presenza, dove avviene la liturgia della nostra vita; quel luogo che
viene trasfigurato dalla comunione ai suoi Santi Misteri e dai sacramenti. Se
questo luogo non è bello, cioè se non vi abita Colui che abbellisce tutte le
cose, che ci fa partecipare alla sua bellezza, in vano abbelliremo la nostra
liturgia esteriore. In fondo è sempre un doppio movimento dall=interno all=esterno e viceversa.
2.6. Theotokion primo della festa di
San Nicola, 6 dicembre.
Prepàrati, o grotta:
perché viene l’agnella, portando in seno il Cristo. Ricevi, o greppia, colui
che con la parola ha liberato noi abitanti della terra dal nostro agire contro
ragione. Pastori che pernottate nei campi, testimoniate il tremendo prodigio. E
voi magi dalla Persia, offrite al Re oro, incenso e mirra: perché è apparso il
Signore dalla Vergine Madre. Inchinandosi davanti a lui come serva, la Madre lo
ha adorato, dicendo a colui che portava fra le braccia: Come sei stato seminato
in me? O come in me sei stato generato, mio Redentore e Dio?
I testi liturgici bizantini sono dei
testi con un contenuto teologico notevole; sono dei testi nati da una lettura
della Parola di Dio e, quindi, ci riportano a un contatto vitale con quella che
è la fonte della nostra vita cristiana. Il tropario proposto è il primo theotokion
del vespro della festa di san Nicola il 6 dicembre. Come in altri dei tropari,
troviamo chiamati in causa nel nostro testo, come attori non soltanto le
persone ma anche gli elementi, le cose che diventano tipo, figura, di altre
realtà. Quali sono i personaggi, le cose, che appaiono nel nostro testo? La grotta,
la greppia (mangiatoia), i pastori, i magi, la Madre di
Dio, ed essa col titolo di Agnella, Vergine e Madre.
Il tropario è tutta una parafrasi dei
testi evangelici Lc 2 e Mt 2. Le diverse figure che appaiono nel testo, dopo il
loro ruolo iniziale e proprio: la grotta che riceve, accoglie…, la mangiatoia
che contiene…, diventano tipo, figura di un’altra realtà. Notiamo che la grotta
viene invocata in seconda persona: “tu grotta prepàrati…”, usando l’imperativo “preparati”
che si potrebbe tradurre anche come “prepàrati convenientemente…”, “in modo
degno…”, “tieniti pronta…” In fondo dire alla grotta “tieniti pronta,
prepàrati” è dirlo alla stessa Chiesa; essa, la grotta, ne diventa il tipo, la figura. Per accogliere
chi? Cristo, l’agnello, che viene portato da sua Madre, l’agnella, titolo che
di nuovo gli verrà dato nei tropari della Settimana Santa. Qui il tropario
riprende il testo di Gv 1, 29.36; il titolo di Agnella dato alla Madre di Dio
va legato alla sua divina maternità. Prepararsi convenientemente è anche quello
che facciamo nella Divina Liturgia –simbolicamente nel grande ingresso- ed è
quello che dovremmo vivere ognuno di noi, cristiani, che riceviamo i Santi Doni
ogni giorno.
L’immagine ancora della greppia o
mangiatoia; ricordiamo che l’iconografia rappresenta la greppia come un
sepolcro, sarcofago. Il tropario la collega a un gioco di parole molto bello:
colui che con la parola ha liberato noi abitanti della terra dal nostro agire
contro ragione; colui che libera con la parola dall’agire senza parola,
lontano dalla parola. La salvezza di Cristo ci porta, o ci riporta a Cristo
stesso. La Parola ci ridà la forza della ragione, della Parola stessa.
Dei pastori, che pernottano nei campi,
nella solitudine, il testo chiede che diventino testimoni, martiri potremmo
dire, del mistero; sembra come se il testo volesse che dall’isolamento
passassero alla comunione. Sant’Efrem vede nei pastori di Lc 2 l’immagine dei
monaci, dei solitari, che abitano fuori le porte, e che testimoniano il mistero
dell’Incarnazione. Notate ancora la presenza, nel tropario, dei magi che
offrono i loro doni, visti sempre, i magi, in parallelo con le tre donne
mirrofore che offriranno i loro doni a Colui che un giorno pure verrà accolto
da un’altra grotta, da un’altra greppia, il suo sepolcro.
La conclusione del tropario si
concentra in Maria, con delle immagini molto contrastanti: il Signore che
appare dalla Vergine Madre…, la Madre che, come serva lo adora. Il tropario è
quindi una confessione di fede molto chiara, non dice: “Gesù che nasce da
Maria” ma volutamente afferma, confessa: “il Signore che appare, si
manifesta, dalla Vergine Madre”.
Si tratta senz’altro di un bel testo,
ma non soltanto questo. Si tratta di un testo che, ad ognuno di noi, ci tocca e
ci impegna come cristiani. Perché dietro c’è il vangelo di Cristo, il mistero
della sua nascita, della sua incarnazione, della sua vita in mezzo a noi. La
grotta è tipo della Chiesa, della comunità ecclesiale, a chi viene chiesto di
“tenersi pronta”; essa, la grotta, è tipo anche di ognuno di noi, della natura
umana, a chi viene indirizzato quel prepárati. Pronti a che cosa? Ad accogliere
degnamente Cristo e a testimoniarlo pure degnamente agli altri. Non è soltanto
per noi che lo accogliamo; i pastori, testimoni nella solitudine, nell’abitare
oltre le porte, ne diventano martiri.
I testi della liturgia del periodo che
precede il Natale ci avvicinano a uno dei misteri centrali della nostra fede:
l’Incarnazione del Verbo di Dio. La liturgia ci prepara, in una bella
pedagogia, a celebrare ed a vivere questo mistero. E questo prepararci suppone
da parte nostra un essere attenti, con le orecchie ben aperte, alla Parola di
Dio che ogni giorno, come una goccia d’acqua sulla roccia, fora il nostro
cuore, il nostro essere cristiani, forse indurito dal peccato o dalla semplice
rutina scialba che può annientare lo stimolo che la nostra fede cristiana
dovrebbe darci.
2.7. Tropari del vespro della festa
della Concezione di sant’Anna, 9 dicembre.
Una coppia
venerabile (di sposi) dà (come) frutto la divina giovenca (cf., Gen
15,9), dalla quale in modo inesprimibile procederà il vero vitello grasso
(Lc 15,23), immolato per il mondo intero (cf. Ap 5,1ss).
Gioiosi, essi
offrono dunque con compunzione al Signore una lode incessante, e tutto
l’universo è loro debitore.
Proclamiamoli
dunque beati
(cf., Lc 1,48), e formiamo con fede un coro divino nella concezione della
Madre del nostro Dio da loro generata, per la quale è donata copiosa la grande
misericordia (cf., salmo 50,3; 85,13; 107,5).
Lo
straordinario mistero, ineffabile per gli angeli, grandioso per gli uomini,
profetizzato dall’eternità, si mostra oggi in un infante nei lombi della casta
Anna: è Maria, la bimba divina, preparata per divenire dimora dell’universale
Re dei secoli e per riplasmare la nostra stirpe. Imploriamola con coscienza
pura, a lei gridando: Intercedi presso il tuo Figlio e Dio per la salvezza
delle anime nostre, tu che sei protezione di noi cristiani.
La
festa del 9 dicembre celebra la festa del concepimento di Maria, la Madre di
Dio, da Gioacchino ed Anna. La festa e i diversi suoi testi tra cui il nostro
tropario, ha come retroterra il Protovangelo di Giacomo, un testo apocrifo che
è la fonte di molte delle feste dell’anno liturgico di diverse Chiese
cristiane.
Il
primo tropario è il terzo degli aposticha, cioè dei tropari che si cantano
nell’ultima parte del vespro: dopo il lucernario e le due grandi litanie
diaconali. Questi tropari vengono intercalati con dei versetti dei salmi, e non
a caso il 9 dicembre i versetti erano le due parti del versetto 11 del salmo
131: Ha giurato il Signore la verità a Davide, e non l’annullerà. Dal frutto
del tuo seno porrò sul tuo trono, uno dei salmi messianici che la
tradizione cristiana ha sempre letto ed interpretato in chiave cristologica
nella successione davidica di Cristo stesso. Il primo ed il secondo degli
aposticha cantano soltanto Anna, mentre che il terzo loda ambedue i genitori
della Madre di Dio: Gioachino ed Anna. Come la maggioranza dei testi liturgici
bizantini, anche questo tropario ha una base di testi biblici in citazione
diretta o indiretta. Il tropario si può dividere in tre parti: 1. Una
coppia venerabile … immolato per il mondo intero. 2. Gioiosi…
loro debitore. 3. Proclamiamoli dunque beati… la grande
misericordia.
La prima parte narra il
fatto che si celebra: il concepimento della Madre di Dio da due sposi, che la
tradizione chiama Gioacchino ed Anna. La coppia nel tropario viene chiamata
venerabile, e colei che ne viene generata viene chiamata giovenca. La
generazione di Maria va legata direttamente pero ad un altro fatto, cioè la
nascita di Cristo. Tutto lo sfondo biblico della prima parte del topario ha
certamente i vangeli dell’infanzia con la nascita di Cristo, ma soprattutto Lc
15,23. il gioco di parole –e molto di più- tra la giovenca e colui che essa
genera: il vitello grasso della parabola del figliol prodigo di Lc 15, vitello
grasso immolato per il mondo, cioè il Cristo. Lc 15 che percorre tutta la prima
parte insieme a Gen 15,19, la giovenca offerta da Abramo, e Ap 5,1 l’agnello
immolato per la nostra redenzione. Ricordiamo anche nella Settimana Santa tutte
le volte che i tropari giocano, si servono, delle voci Agnello = Cristo e
Agnella = Madre di Dio.
La seconda parte del
tropario canta la gioia della coppia Gioacchino ed Anna, e la loro lode a Dio.
L’espressione offrono con compunzione al Signore una lode incessante,
con compunzione; un’expressione che non è facile di tradurre. La parola
“compunzione” è un termine che appare soltanto tre volte nella Bibbia: salmo
58,5; Is 29,13; Rm 11,8, e sempre con il senso di torpore, benché nella
Vulgata Rm 11,8 traduce come spiritus compunctionis. Forse il tropario
ha il senso di lode data al Signore come frutto della mitezza, della preghiera
(Gioacchino ed Anna, nel protovangelo di Giacomo, passano tre mesi da soli, lui
in montagna, lei a casa), della semplicità! La tradizione patristica latina
traduce spesso come taciturnitas, silentium.
La terza parte del
tropario dà la dimensione ecclesiale, comunitaria del testo. Tutti noi ci
uniamo nella lode al Signore e a Gioacchino ed Anna. Il testo del magnificat di
Lc 1,48 tutte le generazioni mi proclameranno beata, viene applicato a
Gioacchino ed Anna. La lode di ognuno di noi diventa lode a Dio per
l’intervento di salvezza per mezzo della Madre di Dio, per la quale –per mezzo
della quale in Cristo verrà elargita la grande misericordia, espressione
che si trova a conclusione di molti tropari, presa soprattutto dal salmo 50.
Il centro del tropario
è Cristo, vitello grasso, immolato elargitore della grande e copiosa
misericordia di Dio. Lui è il centro del tropario, il centro della nostra fede.
Maria, di cui celebriamo il concepimento, ne è la giovenca –usando sempre il
linguaggio dello stesso tropario, colei che lo partorisce –il Cristo-, lo
strumento di cui Dio si serve per portare al mondo il Salvatore. Gioacchino ed
Anna sono la coppia venerabile; gioiosi nella taciturnità; proclamati beati.
Il secondo tropario che presentiamo, Lo
straordinario mistero, è fatto da immagini fortemente contrastanti: il
mistero che si celebra è straordinario, ineffabile, grandioso, eterno… esso
si mostra però in una bimba, cioè piccola, nel grembo di Anna,
cioè circoscritto.
Le immagini applicate a Maria: bimba
divina, dimora del Re dei secoli, luogo dove si riplasma la nostra stirpe…
Immagini fortemente cristologiche, ma anche ecclesiologiche, che possono essere
applicate alla Chiesa, come luogo dove si attua il mistero di Cristo, dove per
i sacramenti avviene questo riplasmare, questo rinnovamento della nostra stirpe
in Cristo, nel Verbo incarnato.
Questo contributo vuol essere un
omaggio di gratitudine all’archimandrita P. Olivier Raquez osb che per ben 26
ani, dal 1969 al 1995, fu Rettore del Pontificio Collegio Greco di Roma.
Arch. P. Manuel Nin
osb
Rettore
Pontificio
Collegio Greco
Roma